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Gino Covili, il comunista che dipingeva Francesco: le opere tornano in mostra ad Assisi

Il pittore degli antieroi a San Damiano con 11 lavori sul poverello e una storia personale straordinaria. Perché i suoi volti parlano ancora a noi e raccontano ciò che esiste sempre, anche se non guardiamo più

Federico Sciurpa

04 Luglio 2025, 17:36

Gino Covili, il comunista che dipingeva Francesco: le opere tornano in mostra ad Assisi

Gino Covili ha dipinto San Francesco, l'esposizione ad Assisi

Tornano in Umbria (da sabato 5 luglio a domenica 12 ottobre), ad Assisi, dopo 31 anni, 11 opere del Francesco di Covili. Gino Covili era uno degli audaci cantati da Francesco Guccini, di quelli con in tasca “l’Unità”. Uno del popolo: barbiere, manovale, poi finalmente bidello della scuola; un ragazzo che aveva fatto la Resistenza. Soprattutto uno (diventato poi), tra i più grandi pittori del secondo Novecento. Senza curarsi, forse, di saperlo. Mai, sicuro, anche di sembrarlo.

Covili non ha mai dipinto vincitori. Ha scelto la “gente normale”: quelli che non fanno la storia, ma la subiscono. E la reggono. Ha trasformato la fatica quotidiana di contadini, operai, malati mentali, in una forma di eroismo silenzioso.

Le sue tele sono popolate da figure che la modernità ha spinto ai margini, ma che conservano un’umanità incrollabile.

In un mondo dove il successo si misura in visibilità e denaro, Covili insiste (senza ideologia), su un altro tipo di grandezza: quella che nasce dal sacrificio silenzioso, dalla dignità del lavoro, dalla resistenza quotidiana.

Covili in fondo, l’arte l’aveva imparata da solo e fino alla fine dei suoi giorni (è morto 20 anni fa) è rimasto con la sua gente di Pavullo nel Frignano: semplice, umile, fiera.

Uomini e donne quelli (come nei suoi quadri) nati per soffrire, ma sempre dentro la favola, lo stupore di questa vita dipinta con la sua celebre tecnica mista.

Modenese come il Guccio che di Covili è appassionato estimatore, il maestro era un comunista (mai troppo funzionale e organico a certo Pci per la verità), uomo e artista libero.

Sulle tele ha messo il mondo degli ultimi, degli Esclusi (il suo ciclo più noto), degli emarginati. Gente comune e per questo straordinaria, eroi di tutti i giorni. In una parola gli antieroi di Covili. Gli dicevano, al maestro, che c’era posto - in quel suo mondo lì - per San Francesco, il poverello di Assisi.

Glielo chiedeva soprattutto una voce autorevole (“imponiti il tormento di dipingerlo”): Berardo Rossi, il frate fondatore dell’Antoniano e guida dello Zecchino d’Oro. Un amico di Covili, di Pavullo pure lui.

Per anni il maestro ha dipinto di tutto, ma niente mai però riferito alla religione, nè tantomeno a Francesco.

Poi un giorno di gennaio 1992 disegna un crocifisso dietro a una tela. Per due anni interi si chiude nel suo studio con vista Cimone (oggi Casa Museo) e dipinge San Francesco. Giorno e notte.

Quello che gli era stato indifferente, all’improvviso diventa suo. Covili studia Francesco, lo attraversa (grazie anche all’amicizia del compianto padre Giulio Mancini) proprio all’apice del suo successo personale di artista.

Intendiamoci, nessun agio e tanti rifiuti: la felicità di lasciare la casa popolare in cui viveva per una grande, per sé e i figli. Quello sì. Alla fine ne esce un ciclo contemporaneo imponente e potente su San Francesco: 82 opere che vengono mostrate, la prima volta, proprio in Umbria.

La mostra, nell’agosto 1994, è a San Damiano di Assisi. La cara Umbria per l’artista del Frignano ché nel ’90 a Perugia, nelle sale della Rocca Paolina, aveva fatto l’esposizione della consacrazione con una antologica memorabile. Da oggi alcune opere del ciclo di Francesco vengono esposte nella galleria del santuario di San Damiano, nate per un ex voto (il figlio Vladimiro era in coma dopo un incidente stradale): una preghiera laica fatta con l’arte, il linguaggio che conosceva, che sa arrivare a tutti con vibrante attualità.

Covili in Francesco non celebra il santo, ma l’uomo che parla agli animali, che tocca i poveri, che cammina scalzo tra gli ultimi. È un’opera spirituale, ma profondamente laica. E nel nostro tempo – segnato da guerre, crisi ambientali, solitudini diffuse – quel Francesco è forse la figura più attuale di tutte. Covili, attenzione, non è un artista di nicchia. È un testimone. E in una realtà sempre più diseguale, disorientata, l’urgenza di tornare a guardare i suoi “non eroi” è un grido. Per ricordarci chi siamo stati, e chi possiamo ancora essere.

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