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Il santo di oggi

Il 22 maggio è il giorno di Santa Rita da Cascia. Chi era davvero questa donna ferita e fortissima

Sposa imposta, madre sola, monaca combattente: la santa delle donne che non si spezzano. Perché è così celebrata e attuale

Ambra Costanzi

22 Maggio 2025, 00:02

Il 22 maggio è il giorno di Santa Rita da Cascia. Chi era davvero questa donna ferita e fortissima

Oggi, giovedì 22 maggio, si celebra Santa Rita da Cascia. Una santa attualissima

Oggi, giovedì 22 maggio 2025, si celebra Santa Rita. E nel cuore di Cascia, in Umbria, ogni 22 maggio si rinnova una devozione che ha radici profonde. Ma dietro le rose, le api e le spine, Santa Rita non è solo la “santa delle cause impossibili”. È qualcosa di più moderno, più tagliente, più urgente: una figura di riferimento per chi è passata attraverso la violenza, la perdita, l’imposizione – e ne è uscita viva, anche solo spiritualmente.

La sua storia, riletta con gli occhi di oggi, sembra quasi scritta da una regista indipendente o da una giornalista embedded nel dolore femminile. Sotto la superficie della santa “popolare”, c’è una biografia durissima, che merita di essere raccontata senza edulcorazioni.

Un matrimonio imposto, come migliaia ancora oggi

Rita fu data in sposa giovanissima, contro la sua volontà, a un uomo violento, Paolo Mancini, che seguiva il codice d’onore dell’epoca. È la stessa dinamica che, in molte parti del mondo (e non solo nei villaggi remoti), continua a ripetersi: una ragazza costretta a diventare moglie, madre, pacificatrice, molto prima di essere donna.

Eppure non fuggì, non denunciò (non c’erano le condizioni), ma iniziò a lavorare ai margini del conflitto domestico, smussando il carattere del marito e crescendo due figli, che a loro volta finirono risucchiati nella logica del sangue e della vendetta.

 Madre che perdona, non che vendica

Quando il marito venne ucciso, i figli – secondo la cronaca e la leggenda – volevano vendicarsi. Rita pregò Dio che li prendesse con sé piuttosto che vederli assassini. Una frase che fa tremare, ma che ha un senso potente nel linguaggio di allora: non sacrificare il proprio dolore per perpetuarne altro.

Non chiese giustizia, chiese pace. Anche se significava restare sola al mondo. E da quel vuoto iniziò un nuovo percorso.

Entra in monastero, ma porta con sé il mondo

Il convento, per Rita, non è fuga ma trasformazione. Non si ritira per rinunciare alla vita, ma per sublimarla in qualcosa di più profondo: la mediazione, il perdono, il silenzio attivo. Non a caso, è nota per aver riappacificato due famiglie nemiche, in un contesto sociale intriso di vendette incrociate.

Oggi parleremmo di giustizia riparativa, di pacificazione sociale, di “terapie del perdono”. Lei lo fece nel Quattrocento. Senza diritti civili, senza hashtag, senza manifesti. Solo con l’autorevolezza di chi ha vissuto il dolore sulla pelle.

Eredità femminile, non solo religiosa

Oggi Santa Rita è ancora associata ai miracoli, ai fiori e alle preghiere disperate. Ma forse è tempo di rileggere la sua figura in chiave più antropologica.

Le donne che si rivolgono a lei – e sono tantissime – non cercano solo la grazia. Cercano ascolto, rispecchiamento, una via per non odiare più dopo essere state spezzate. In un mondo dove il trauma si medicalizza, si psicologizza, si anestetizza, Santa Rita resta una figura archetipica: la donna ferita che non si vendica, ma neppure si arrende.

Santa Rita non chiede compassione. Chiede lucidità. Chiede forza. Chiede di smettere di ripetere il ciclo del dolore. È una figura che oggi, forse, può parlare a un pubblico nuovo, non solo e necessariamente devoto. A chi ha attraversato il buio e non vuole uscirne solo con la luce, ma con una direzione.

Nel 2025, la “santa delle cause impossibili” è anche la santa delle donne forti in silenzio. Quelle che il mondo ha ferito, e che non si definiscono vittime, ma risposte viventi.


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