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Laura, ti ho accarezzato la mano mentre te ne andavi, ora nuota libera per sempre

Le ultime parole della giornalista malata: "Non piangete per la mia morte, sorridete perché adesso non soffro più"

Francesca Marruco

23 Luglio 2025, 15:01

Laura, ti ho accarezzato la mano mentre te ne andavi, ora nuota libera per sempre

Laura Santi, voleva che questa diventasse la sua foto simbolo

“Lascio questa vita pensandomi nelle acque turchesi di cala Liberotto perché voglio essere per sempre quella Laura. La Laura che nuotava a delfino libera e spedita con un corpo che le rispondeva. Non questa, costretta a chiedere di essere sollevata, pulita, grattata, spostata, imboccata in ogni momento della giornata, per tutti i giorni della sua vita”. Ce l’hai confidato un attimo prima di entrare in camera tua per autosomministrarti il farmaco che in una manciata di secondi ha messo fine alle tue sofferenze. In quell’ultima mezz’ora insieme, un dono da aggiungere ai tanti altri che a me avevi già fatto, ci hai lasciato consegne importanti.

“Siate custodi della mia memoria e raccontate che ho vinto – hai detto a me e Francesca Mannocchi, prescelte da te per sostenerti e ricordarti - dovete scriverlo che ho vinto sulla malattia, sulla sofferenza, sul dolore, sulla schiavitù, sulla progressione della sclerosi multipla, e su questa vita che ormai è tremenda. Non pensate che sono morta e lascio un vuoto, pensate a come sono stata costretta a vivere negli ultimi anni. Non dovete piangere, sorridete sapendomi finalmente libera”.
L’hai detto con una tale convinzione e lucidità che, ancora una volta, come hai fatto in quest’ultimo, intenso, tratto di strada insieme, sei stata tu a trasmettere serenità in chi hai voluto avere accanto.

Io sono stata una di queste persone e non ringrazierò mai a sufficienza la vita per averti trovata. Quando lunedì mattina sono entrata in casa tua a Montebello mi tremavano pure le gambe. Non sapevo se ti avrei salutata o sarei rimasta in un’altra stanza per sostenere, come ci hai chiesto di fare, il tuo eroe – un eroe civile vero – tuo marito Stefano Massoli, che per anni, oltre al tuo amore, è stato braccia e gambe, che la malattia ti aveva tolto. In mente avevo stampato quel tuo amorevole ammonimento: “Marruco (le cose serie me le dicevi chiamandomi col cognome, ndr) tra noi niente parole di saluto e soprattutto niente lacrime”. Convinta che non ce l’avrei mai fatta, mi sono dovuta ricredere e la forza me l’hai data tutta tu.

Laura Santi

Quando, per l’ultima volta, ci hai portate nei tuoi sogni di donna libera, raccontandoci di quel desiderio invincibile di nuotare, che fino a due anni fa ti permetteva ancora di evadere dalla gabbia del tuo corpo e nelle viscere buie del male. Tu la chiamavi “la prosaicità della malattia”. “Cara Fra – mi hai detto tante volte nelle serate che in queste ultime settimane abbiamo passato insieme – il corpo malato è prosaico. La vita è poesia, ma io quella vita non la posso più avere per com’era prima”.
E’ per questo motivo che, negli ultimi tre anni, conscia che questo momento sarebbe potuto arrivare, hai ingaggiato una lunga battaglia legale per avere diritto a quello che viene definito suicidio medicalmente assistito. O come dice il tuo amato eroe, “non è un suicidio, è una morte volontaria”.

Laura Santi

Per dire basta alle sofferenze, di cui altrimenti non ti saresti potuta liberare. Hai scoperto 29 anni fa di avere la sclerosi multipla e se, per quasi vent’anni l’hai tenuta a bada con controlli e terapie, poi ha preso il sopravvento e si è impadronita del tuo corpo con un’inarrestabile ferocia e una progressione - senza ritorno – che non ti ha dato tregua neanche nelle ultime settimane. “Mi parla anche la malattia” mi hai ripetuto nelle tante chiacchierate al buio, come piaceva a noi, in camera tua. “Casomai avessi ripensamenti, il corpo mi ricorda continuamente chi decide come vanno le cose e che potrebbero sempre peggiorare, come sta succedendo”.

Laura Santi e il marito Stefano Massoli

Ma di ripensamenti veri e propri stavolta, a differenza delle altre tre - in Svizzera e in Italia – non ne hai avuti. Mentirei se dicessi che in minima parte, egoisticamente, non ci ho sperato. Da te, sorella regalata dall’esistenza lungo il cammino, non mi sarei voluta mai separare. Ma era egoismo, ero consapevole che soffrivi troppo. E tu sapevi che questa sarebbe stata la volta giusta. Con l’arrivo delle ultime firme di Asl e Regione, favorite dall’instancabile lavoro di Fabio Barcaioli, era solo questione di tempo. “Del resto, se rinuncio, che me ne faccio di un altro mese o due di vita così? Posso regalarmi solo altra sofferenza”. Non lo dicevi perché eri depressa, o non amavi la vita. L’opposto. E non lo dico io: il tuo psichiatra, che citavi continuamente, lo sosteneva con occhio clinico “Mi dice sempre che sono la persona meno depressa che abbia mai conosciuto”. Sei stata una donna che la vita l’ha strappata a morsi, vivendo intensamente ogni ultimo scampolo finché ha potuto.

Laura Santi

E poi, quando hai deciso che la sofferenza era davvero troppa hai scelto una data. I tuoi amici della Coscioni, di cui eri fieramente consigliera generale, hanno cercato per te due operatori sanitari, un medico e un infermiere, per la procedura. In Umbria infatti, nessuno ha dato disponibilità alla Asl 1 per aiutarti. Ma Filomena Gallo, l’avvocata e segretaria dell’associazione, che con te ha vinto le partite legali più serie, ti ha trovato due angeli, anche per l’ultimo miglio. E in attesa che arrivasse lunedì 21 luglio tu ti sei congedata dal mondo.

In quell’ultima serata al Frontone hai salutato la quercia su cui saltellavi da bambina. Lunedì scorso, a meno sette giorni, hai fatto una lunga passeggiata con Pinkie a Montebello, “ho visto dei ragazzi giocare a pallone, li guardavo sorridendo, mi avranno preso per pazza” mi hai detto l’ultima sera in cui abbiamo passato tempo sole io e te. Mi hai raccontato dei giri in auto con Sara - la tua assistente amica - in città davanti ai luoghi che per te hanno significato molto. Hai salutato ogni cosa, piccola e grande della tua esistenza. Non lo hai fatto con le tante persone che ti amavano e che adesso ti piangono. “Ti prego Fra faglielo capire che non era mancanza di amore” mi hai ripetuto. Non ce l’hai fatta a vivere il loro lutto anticipato. Ma domenica, quando abbiamo pianto insieme a lungo e ti ho tenuto stretta la mano, mi hai confessato: “Oggi sai che non eri solo tu, hai incarnato tantissime persone”.

Eri preoccupatissima che non ti avrebbero compreso appieno. “Voi del mondo dei normali non lo sapete. Anche Stefano o le mie assistenti, che sono una seconda famiglia, non lo possono capire fino in fondo cos’è vivere dentro il mio corpo”. E no, amore mio, per quanto me l’abbia raccontato e ripetuto, solo tu sai la sofferenza che hai vissuto e da cui ti sei voluta liberare. Ma ti ho promesso che l’avrei raccontata in ogni modo possibile e in ogni modo avrei spiegato quel che io ho capito del tutto solo lunedì mattina. “Non avrei mai pensato di vivere questa pace prima di andare”, ci hai confidato. Quanto ti sarebbe piaciuto adesso sapere “che rumore hai fatto” col tuo gesto.

E che enorme lascito ci hai consegnato: per i diritti civili non si deve mai smettere di lottare. Lo faremo con amore, convinzione e dedizione. In tuo nome. Ci ho pensato continuamente negli ultimissimi giorni, in cui avevi scelto il silenzio e il raccoglimento. “Ho bisogno di stare sola col mio cuore e distaccarmi da tutti, non me ne volere” mi hai spiegato. Ti ho accompagnato ai limiti del bosco, fin dove è stato possibile. “Nella terra di mezzo devo andare da sola”. E chissà dove sei ora. Io ti immagino mentre nuoti a delfino nelle acque cristalline di cala Liberotto. Te l’ho sussurrato, mentre ti accarezzavo, quando già non c’eri più. “Ciao vita” hai detto andandotene. Ciao Laura, sorella mia. Adesso libera, per sempre. 

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