Cronaca
Laura Santi
“Ho vinto. Sulla malattia, sulla sofferenza, sul dolore, sulla schiavitù, sulla progressione della sclerosi multipla, su questa vita tremenda. Non pensate al fatto che sono morta, pensate a come sono stata costretta a vivere negli ultimi anni e sorridete sapendomi finalmente libera”. Ce lo hai ripetuto fin quando sei rimasta con noi. “Custodite la mia memoria e non siate tristi, io sono già altrove”. E, come sempre hai fatto in quest’ultimo tratto di strada insieme, sei stata tu a infondere serenità in chi hai voluto accanto, me compresa. Perché eri già in pace.
Laura Santi, giornalista 50enne perugina affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla, per me ormai solo Laura, una sorella regalata dall’esistenza lungo il cammino, se n’è andata ieri mattina. E’ stata la prima umbra ad accedere al suicidio medicalmente assistito, la nona in Italia. Dopo oltre 25 anni di malattia, con un peggioramento inarrestabile nell’ultimo biennio e una progressione che non ha concesso una tregua nemmeno nelle ultime settimane, Laura, sempre sostenuta dal marito Stefano - custode delle sue paure, dei suoi movimenti, della sua sopravvivenza e del suo cuore - ha deciso di concedersi la libertà di porre fine alle sue sofferenze. E per farlo purtroppo, con un corpo ormai quasi completamente paralizzato – ad eccezione di una mano - e fonte continua di dolore, con una malattia senza cura che come unica certezza ha l’aggravamento irreversibile, c’era per lei solo un modo. Quello per cui, affiancata dall’associazione Luca Coscioni, ha lottato a suon di ordinanze del giudice prima e diffide poi. Le ultime firme, per dare gambe a quel diritto che commissione medica Asl e comitato etico regionale le avevano riconosciuto a novembre scorso, sono arrivate solo poche settimane fa. Ma alla fine, grazie alla buona volontà di qualche politico fuori dagli schemi, si sono materializzate anche quelle.
E Laura, che come ogni malato di sclerosi multipla in estate soffre infinitamente più, ha deciso di dire basta. Nessuno pensi sia stata una decisione avventata: aveva fissato e disdetto più volte - prima in Svizzera e poi in Italia - perché in lei, nonostante la ferocia della malattia, abitava ancora un profondissimo desiderio di vita. Nessuno la immagini come una donna che voleva morire. “Non sono depressa, il mio psichiatra me lo dice da sempre”, mi ripetevi nelle nostre chiacchierate serali che, soprattutto in questo ultimo mese, hanno scandito il mio tempo. Che regalo enorme mi hai fatto, Laura mia, a donarmi questi momenti, questo amore, queste confidenze. E no, non eri una donna depressa: eri una che la vita l’ha amata e l’ha vissuta intensamente fin quando ha potuto. Fin quando quella quotidianità non è diventata troppo dura, spoglia e dolorosa, ci hai provato: fino a due anni fa nuotavi ancora in piscina. Era l’evasione dal male che aveva ingabbiato il tuo corpo. Ed è lì, in acqua, che con la mente sei tornata nel tuo ultimo giorno in vita. “Mi sono immaginata per tutto il tempo mentre nuotavo a delfino nelle acque turchesi di Cala Liberotto” ci hai raccontato, poco prima di salutare il mondo. “Ciao vita”. Ciao Laura, sorella mia. Per sempre libera.
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