LA STORIA
La Festa dei Ceri
Ogni anno, il 15 maggio, Gubbio si trasforma in un teatro di fede, appartenenza e memoria collettiva. È il giorno della Festa dei Ceri, una tradizione che affonda le radici nel Medioevo e che, da oltre otto secoli, si rinnova senza interruzioni. Non si tratta di uno spettacolo folkloristico per turisti, ma di un rito profondamente sentito, che coinvolge l’intera comunità. Tre gigantesche strutture di legno vengono sollevate a spalla e portate di corsa lungo le vie del centro, fino alla basilica di Sant’Ubaldo sul monte Ingino. Un gesto che da generazioni unisce fede, storia e identità.
Tra coloro che, nel tempo, hanno fatto esperienza dello spirito eugubino c’è anche l’attuale Papa Leone XIV, all’anagrafe Robert Francis Prevost. A ricordarlo è padre Giuseppe Pagano, oggi a Firenze, che racconta di quando, nei primi anni Ottanta, Prevost — allora studente agostiniano a Roma — giunse a Gubbio per la prima volta. Con alcuni compagni, compì i tradizionali tre giri intorno alla Fontana del Bargello, ricevendo così la Patente da Matto, simbolo d’integrazione nella comunità locale. Un ricordo vivo e curioso, suggellato da un errore di viaggio al ritorno: presero un treno per Ancona invece che per Roma. "Forse — commenta oggi padre Giuseppe — un po’ matti lo eravamo davvero".
Sui Ceri troneggiano le statue di tre santi: Sant'Ubaldo, San Giorgio e Sant'Antonio Abate. Non è una rievocazione storica e non ha nulla a che vedere con le mode passeggere del turismo esperienziale. È una manifestazione popolare autentica, che ogni eugubino sente come parte inscindibile della propria esistenza. Il cero non è solo un oggetto sacro, ma è un’eredità da portare con onore, un legame con i padri, un vincolo con la terra.
La Festa dei Ceri è frutto del lavoro congiunto del Comune di Gubbio, che cura logistica e manutenzione, dell’Università dei Muratori, depositaria della tradizione, del Maggio Eugubino, che promuove e organizza gli eventi collaterali, della Diocesi, per le cerimonie religiose e delle famiglie dei ceraioli, che guidano la corsa e tengono vivo lo spirito popolare tutto l’anno.
La macchina umana che anima la Festa dei Ceri è vasta, complessa e profondamente radicata nella tradizione. Al centro ci sono i ceraioli, uomini di Gubbio che, fin da bambini, apprendono l’arte e lo spirito del portare il Cero. Ogni Cero conta centinaia di ceraioli, divisi in mute che si danno il cambio lungo il percorso, secondo regole ferree. Accanto ai ceraioli troviamo figure cardine: il Capodieci, capo assoluto di ogni Cero, guida, organizza e prende le decisioni cruciali; il Capocetta, con la sua accetta, è pronto a intervenire in caso di danni; i Capitani, scelti dall’Università dei Muratori, rappresentano l’autorità simbolica della Festa e conducono i riti più solenni, affiancati da Trombettiere e Alfiere in eleganti uniformi d’epoca.
Chiudono il corteo i Tamburini, che con il loro rullo svegliano Gubbio all’alba e accompagnano ogni sfilata con ritmo e solennità. Tutti indossano divise codificate, simbolo di appartenenza e orgoglio, che richiamano i colori dei tre Santi: giallo per Sant’Ubaldo, azzurro per San Giorgio, nero per Sant’Antonio. Nessuno spazio è lasciato al caso, perché ogni gesto, ogni ruolo, ogni passo ha il peso della storia.
Sant’Ubaldo, il cuore della Festa
Alla base della Festa c’è il culto di Sant’Ubaldo Baldassini, vescovo di Gubbio vissuto nel XII secolo, uomo di pace e guida spirituale amatissima. La festa nacque probabilmente come una solenne offerta di cera che le corporazioni artigiane della città portavano in omaggio al Santo. Da allora, ogni anno, il Cero di Sant’Ubaldo, patrono e protettore, apre la corsa, seguito da quello di San Giorgio e da quello di Sant’Antonio. La disposizione non è casuale: il Cero del Patrono non deve mai essere sorpassato, e questa regola non scritta ha un valore che va ben oltre l’agonismo.
Le corporazioni e la divisione dei Santi
Originariamente, i tre Ceri erano portati dalle tre principali corporazioni medievali di mestiere: i muratori e scalpellini per Sant’Ubaldo, i merciai per San Giorgio e i contadini e studenti per Sant’Antonio. Ancora oggi, la divisione è rispettata, mantenendo vivo un legame tra il lavoro, la fede e la comunità. Le famiglie si tramandano il ruolo di generazione in generazione: il cero non si sceglie, si eredita.
La materia dei Ceri: ingegno, simbolo e fatica
I Ceri non sono solo figure allegoriche: sono autentici manufatti artigianali di rara complessità. Composti interamente in legno, pesano, barella e santo compresi, quasi 300 chili ciascuno. Sono innestati verticalmente su barelle a forma di H, le quali permettono il trasporto a spalla da parte dei ceraioli.
Ogni Cero è costituito da due sezioni sovrapposte di forma prismatico-ottagonale, costruite con tavolette dipinte e decorate con motivi classici, arabeschi, grottesche, candelabre e spirali vegetali, realizzati su tela. Dalle loro fiancate sporgono quattro grandi maniglie, dette manicchie, che servono a tenere in orizzontale il Cero e attutire eventuali cadute. Due perni in legno, chiamati timicchioni, ne permettono il saldo ancoraggio alla barella e alla statua del Santo mediante un cuneo di ferro, la cavìa.
La barella stessa è un capolavoro di robustezza: due lunghe stanghe laterali collegate al centro da una tavola (il barelone), in cui si incastra il Cero. Questo incastro è tanto semplice quanto ingegnoso, ed è ciò che rende possibile la famosa corsa senza l’uso di chiodi o bulloni.
Durante l’anno, i Ceri vengono custoditi con grande cura: le strutture lignee e le barelle riposano nella basilica di Sant’Ubaldo, mentre le statue dei Santi sono esposte nella chiesa di San Francesco della Pace, sede dell’antica Università dei Muratori. Un luogo carico di storia, dove la tradizione è ancora una cosa seria. Le statue lignee rappresentano fedelmente i tre Santi: Sant’Ubaldo in abiti vescovili e con la mano alzata in segno di benedizione, San Giorgio a cavallo, armato di scudo e lancia, con un mantello azzurro che ondeggia come nella battaglia, e Sant’Antonio Abate con il saio benedettino e una fiamma nella mano, simbolo della sua protezione contro il fuoco.
Ipotesi storiche e misteri delle origini
Se per la maggior parte degli storici le origini della Festa affondano nel culto cristiano di Sant’Ubaldo, non mancano altre interpretazioni affascinanti, a tratti controverse. Una di queste è l’ipotesi pagana, secondo cui i Ceri sarebbero l’eco di antichi riti agrari legati alla dea Cerere, divinità delle messi, connessa al risveglio primaverile della natura. Questa tesi, abbracciata da antropologi come Herbert M. Bower, li collega ai culti arcaici dello spirito dell’albero, suggerendo un’origine ben più remota del cristianesimo.
C’è poi l’ipotesi eroica, che interpreta la festa come la celebrazione di una vittoria militare degli eugubini nel 1151, ottenuta grazie alla miracolosa intercessione del vescovo Ubaldo. In quest’ottica, i Ceri sarebbero antichi carri trionfali e il loro nome deriverebbe da carroccio, simbolo di libertà comunale. Teorie che riflettono lo spirito del tempo in cui furono formulate, tra fervore risorgimentale e orgoglio municipale.
Dal cuore di Gubbio al simbolo dell’Umbria
Dal 1973, i tre Ceri campeggiano anche nel gonfalone della Regione Umbria, stilizzati come simbolo ufficiale. Un riconoscimento formale che testimonia quanto questa festa, pur radicata nella pietra di Gubbio, sia diventata patrimonio collettivo dell’intera regione.
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