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E' morto a New York lo chef Sandro Fioriti: i Clinton, Francesco Totti e Adriano Celentano tra i clienti vip del suo ristorante

Nato a Gualdo Tadino iniziò a cucinare a 7 anni: la sua vita fra i fornelli. Secondo il New York la sua amatriciana era la migliore d'oltreoceano

Alfredo Doni

27 Novembre 2024, 11:48

Sandro Fioriti con Roger Federer

Lo chef Sandro Fioriti con il campione di tennis Roger Federer

E’ morto a New York, dove viveva da molti anni, lo chef Sandro Fioriti. Aveva 75 anni ed era nato a Gualdo Tadino. Lascia la moglie Anna e due figli, Sandro jr che gestisce l'attuale ristorante a New York e Eleonora che lavora da Cacciani, trattoria rinomata dei Colli romani. Fioriti ha trasformato la passione per la cucina in una carriera stellare, conquistando New York e i palati di celebrità internazionali. Da Anthony Quinn a Oriana Fallaci, da Isabella Rossellini ai Clinton, molti hanno assaggiato i suoi piatti che fondono tradizione e innovazione, facendo del ristorante Sandro’s un punto di riferimento per chi cerca un'autentica esperienza culinaria italiana.

La storia di Sandro comincia a sette anni, quando, tra le pentole della cucina di famiglia, scopre il desiderio di diventare chef, sfidando il sogno del padre che lo voleva carabiniere. Dopo una gavetta al ristorante Cacciani di Frascati e l’esperienza come sous chef con Franco Carbonari, apre il suo primo ristorante, D’Artagnan, sui Castelli Romani a Colonna. Qui sperimenta piatti creativi come risotto alle fragole e penne con salsa alla vodka, mostrando già la sua capacità di rispettare la tradizione aggiungendo un tocco personale. Tra i suoi clienti Adriano Celentano e il suo Clan. Ospitava spesso Luigi Veronelli e Vincenzo Buonassisi.

Fioriti fece parte della giuria della gara gastronomica della Quintana di Foligno alle direttive di Lino Procacci, regista di “Domenica In”.

Negli anni ’80, grazie all’incontro con Tony May, storico ristoratore italiano, Sandro si trasferisce a New York per aprire il primo Sandro’s nel 1985. Il ristorante si distingue subito per la sua fedeltà alle ricette regionali umbre e romane, evitando i compromessi tipici della cucina italo-americana. La critica gastronomica non tarda a riconoscere il valore del suo lavoro: il New York Times elogia i suoi spaghetti all’Amatriciana come i migliori d’Oltreoceano, e i suoi piatti diventano un esempio di autenticità.

Dal 2007, Sandro gestiva il nuovo Sandro’s nell’Upper East Side, una trattoria che ricorda le osterie italiane. Qui, i clienti non solo gustano piatti tradizionali, ma vengono coinvolti da Sandro stesso, che racconta aneddoti legati alle ricette. Tra i piatti più apprezzati ci sono la trippa, la porchetta e gli spaghetti con i limoni di Sorrento, una sua creazione originale.

“Quello che porto in tavola è una cucina autentica, legata ai sapori della mia infanzia in Umbria e nel Lazio”, raccontò Sandro in una delle tante interviste, “Non c’è bisogno di inventare: basta rispettare gli ingredienti e la loro storia.”

Sandro sottolineava sempre l’importanza di educare i clienti alla cucina regionale italiana: “Quando ho iniziato a proporre piatti come l’agnello o la trippa, molti li rifiutavano. Ho dovuto raccontare la storia dietro quei sapori, farli conoscere e apprezzare.” Nel tempo quei piatti sono diventati tra i più richiesti.

La lista dei clienti celebri di Sandro è lunga: Oriana Fallaci, Isabella Rossellini, Anthony Quinn, Giancarlo Giannini e persino i Clinton. “Hillary Clinton amava una zuppa semplice, mentre Francesco Totti era di casa con tutta la squadra della Roma”, ricordava Sandro. Ma ciò che colpisce è l’atmosfera familiare del ristorante, dove ogni cliente viene trattato con la stessa cura.

 “Per me, la cucina è rispetto: per gli ingredienti, per chi mangia e per le tradizioni,” spiegava chef Fioriti. “Non amo i fronzoli, né nella vita né nei piatti”. Secondo Sandro, il futuro della cucina italiana è nel ritorno alle origini, alle sagre di paese e ai piatti delle nonne. “Gli chef italiani devono resistere alla tentazione di modificare le ricette per compiacere il palato americano. La vera sfida è mantenere viva la tradizione.”

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