La strage
La strage di Rigopiano costò la vita a 29 persone
Tre anni e dieci mesi di reclusione: è la richiesta di condanna avanzata, giovedì 20 novembre, dal sostituto procuratore generale di Perugia, Paolo Barlucchi, nei confronti di sei dipendenti della Protezione civile della Regione Abruzzo nel processo d’appello bis per la tragedia dell’hotel Rigopiano.
Una richiesta che segna un passaggio cruciale e che riaccende il dibattito sulle responsabilità istituzionali legate alla valanga che il 18 gennaio del 2017 costò la vita a 29 persone, tra cui il receptionist ternano Alessandro Riccetti. Nella seconda parte della requisitoria, Barlucchi ha ricostruito le posizioni dei sei imputati, già assolti in primo e secondo grado dalle accuse di disastro, omicidio e lesioni colpose. Ora il sostituto procuratore generale ha chiesto la condanna per omicidio colposo plurimo non aggravato, in concorso formale con crollo colposo aggravato dalla verificazione del danno.
Al centro dell’accusa, l’assenza della carta valanghe regionale, rimasta inutilizzata per anni e considerata dalla Cassazione un elemento determinante nella prevenzione del rischio. Se fosse stata predisposta, ha spiegato Barlucchi, avrebbe comportato il divieto di accesso all’area dell’hotel o un uso limitato della struttura ai periodi non invernali. Il sostituto procuratore generale ha richiamato la pronuncia della Suprema Corte, secondo cui “era possibile e anche dovuto” prevenire il disastro. Una valutazione che, secondo il sostituto procuratore generale, rende la mancata classificazione delle valanghe un nodo decisivo nel verificarsi degli eventi. Criticità che si aggiungono a quelle già evidenziate nella precedente udienza, in cui Barlucchi aveva chiesto condanne anche per due tecnici della Provincia di Pescara, per l’ex sindaco di Farindola e per un tecnico comunale, sottolineando il “caos” nella gestione dei soccorsi nelle ore che precedettero la valanga.
Tra quanti attendono una verità definitiva c’è anche Antonella Maria Pastorelli, madre di Riccetti, morto sotto le macerie. La donna ha ribadito, più volte, la convinzione che se la strada fosse stata liberata dalla neve suo figlio e gli altri ospiti e dipendenti avrebbero avuto la possibilità di mettersi in salvo. Ha inoltre espresso l’attesa, condivisa da molte famiglie, di conoscere finalmente l’esito dell’appello bis. Con le ultime udienze, il processo di Perugia sta entrando ormai nella sua fase decisiva.
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