Il personaggio
Jannik Sinner nell'ultimo allenamento al Foro Italico
Non è solo il numero uno del mondo che torna a Roma. È l’italiano perfetto su cui tutti cercano di proiettare aspettative nazionali: disciplina, umiltà, successo giovane. Ma lui ha un’altra idea.
Dopo tre mesi di stop forzato, Jannik Sinner torna al Foro Italico da numero uno del mondo. Il pubblico italiano non vede solo un tennista: vede una icona. Non solo il campione che ha rotto la storica barriera del ranking ATP, ma l’italiano ideale. Giovane ma maturo. Talentuoso ma disciplinato. Umile e silenzioso mentre il paese urla e sogna. Sul suo sorriso riservato si proiettano tutte le speranze di un’Italia che da anni cerca volti nuovi su cui scommettere.
Eppure, il suo ritorno non è un semplice rientro sportivo. È una dimostrazione di come si possa essere un simbolo nazionale senza accettare del tutto il ruolo. Sinner debutta sabato 10 maggio contro Mariano Navone, argentino numero 31 del ranking, o nel derby con il giovane azzurro Federico Cinà. Nonostante l’attesa, ha scelto di frenare i facili entusiasmi: “Devo ancora capire a che livello sono… L’obiettivo rimane Parigi”, ha detto alla vigilia. Nessuna promessa di vittoria. Nessuna frase fatta.
Da mesi, la narrazione che lo circonda è più grande di lui. Sinner non è solo il campione che vince, è la sintesi di tutto ciò che l’Italia vorrebbe raccontare a se stessa. La retorica nazionale lo ha dipinto come il nuovo eroe: lavoratore instancabile, pulito nello sport e nella vita privata, lontano dalle pose da star. Il figlio che tutti vorrebbero, il modello che tutti vorrebbero imitare.
Ma chi ascolta davvero le sue parole capisce che Jannik quella retorica la schiva con attenzione. “Io resto un ragazzo semplice di 23 anni che gioca a tennis. Non cambio il mondo. Il successo non mi ha cambiato e non credo lo farà mai”. Non è solo modestia. È la sua strategia. Non lascia che l’immagine pubblica ingabbi l’identità personale.
Anche nel periodo più duro, quello della sospensione per contaminazione da Clostebol, ha mantenuto il profilo basso. Pochi proclami, nessun vittimismo. Mentre il paese discuteva, lui si allenava. Mentre i media cercavano il dramma, lui si sottraeva. È rimasto se stesso, ricordando che il successo non deve alterare la personalità.
La differenza tra Jannik e altri atleti sta tutta qui. Dove altri alimenterebbero il personaggio mediatico, lui alza una barriera. Non perché disprezzi l’affetto del pubblico - al contrario, lo riconosce e lo apprezza - ma perché sa che la sua forza sta nella normalità. Sinner non cerca di incarnare l’eroe. Lo diventa suo malgrado.
Mentre l’Italia si aggrappa al suo sorriso per raccontare un modello di successo senza ombre, lui pensa solo alla prossima partita. Non per scortesia o ingratitudine, ma perché capisce che l’unico modo per non farsi schiacciare dalle aspettative è continuare a essere Jannik Sinner, e non il simbolo che gli altri vorrebbero.
Sabato il pubblico romano lo acclamerà come un gladiatore. Ma lui, come sempre, risponderà con il silenzio e il tennis. E questa, oggi, è la sua più grande vittoria.
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