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Cultura

Dutch Nazari: “La musica riesce a emozionare se contiene un principio di verità condiviso”. L'intervista al rapper prima della partenza del tour da Perugia

Il cantautore di Padova racconta il nuovo album Guarda le luci amore mio

Gabriele Burini

20 Novembre 2025, 23:21

Dutch Nazari: “La musica riesce a emozionare se contiene un principio di verità condiviso”. L'intervista al rapper prima della partenza del tour da Perugia

Dutch Nazari, il tour parte da Perugia

Dutch Nazari è un fiume in piena di idee, parole e musica. Venerdì 21 novembre sarà sul palco dell’Urban Club di Perugia per la prima tappa del suo Guarda le date amore mio, anche se in realtà l’artista di Padova arriva da un’estate sui palchi di tutta Italia. “Il mio ultimo album è uscito nel 2022 - racconta al Corriere dell’Umbria - Di solito il tour si fa dopo il disco e poi ci si ferma per scrivere. Questa volta invece abbiamo fatto una sorta di riscaldamento perché nella band ci sono due ragazzi nuovi su quattro. Eravamo fermi da un po’, avevamo voglia di suonare, e quindi abbiamo fatto il tour anche per questi motivi qua. Anche perché adesso dovremo cambiare metà delle canzoni in scaletta, e avere una band rodata è fondamentale”.

 

- Quanto è importante per te il live?
Io vengo dall’hip hop, per chi fa il nostro mestiere dovrebbe essere un momento clou. Nei giorni scorsi invece, parlando con Willie Peyote, è emerso che molti dei nostri colleghi preferiscono fare dischi invece che la dimensione del live.
A me piace particolarmente, c’è il contatto col pubblico che è fondamentale, perché nel momento dello show anche i punti che dai a un rapper quando lo vedi sul palco, come lo tiene, sono tanti. Il concerto completa l’idea che hai di quel rapper, perché se sei bravo a fare rime ma poi sul palco sussurri, non va bene.

- Cosa ti aspetti dalla data di Perugia?
In generale preferisco sempre non aspettarmi niente, qui in particolare perché è la prima volta che suoniamo a Perugia. Siamo arrivati a inizio settimana perché stiamo facendo l’allestimento (l’ultima prova generale ndr) sul palco dell’Urban. Ero stato già nei mesi scorsi a presentare l’album a Casa Roghers con il presidente dell’associazione, Andrea Mancini, che è anche il chitarrista degli Elephant Brain.

- A ottobre sei stato anche alla Marcia della Pace PerugiAssisi…
E’ stato un grande onore e un piacere. Io da bambino ci avevo trascinato mia mamma in occasione della guerra del Kosovo. Avevo insistito così tanto che mia mamma non se l’è sentita di tarpare le ali dell’ideologia politica giovanile di un bambino di 10 anni. A ottobre abbiamo fatto un paio di canzoni alla Rocca Maggiore, ma non lo conto come concerto.

- L’ultimo album si intitola Guarda le luci amore mio: cosa significa?
L’idea l’ho presa da un libro scritto in forma di diario da un’autrice francese, Anni Ernaux, e più o meno nel periodo in cui ho scoperto l’esistenza di quel libro, a lei è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura. Quel libro è scritto in forma di un esperimento di scrittura in cui lei, tutte le volte che va al supermercato, prende appunti in forma di pensieri, scrive le sensazioni che prova a stare lì dentro. Leggendolo mi è venuta questa suggestione, forse è quello che sto facendo anche io. Io sto denunciando una realtà che commercializza sempre di più, con questa retorica del tutto eccezionale e imperdibile. Forse io sto prendendo appunti delle mie sensazioni mentre mi trovo in un grande supermercato. E questa era la provocazione che ha portato al titolo.

- Anche in questo lavoro ti esponi su temi di attualità, come il genocidio a Gaza. Altri tuoi colleghi hanno deciso di non parlarne. Non voglio dire cosa sia giusto o meno, però ti chiedo: quanto è importante per te?
Ti darò una risposta con un po’ di nuance. Io da ragazzino pensavo che il rap nascesse dal disagio del ghetto, per motivi politici. Chi fa rap dovrebbe farlo, chi non lo fa non è adatto.
Poi in gioventù sono andato in Palestina - e questo è il motivo per cui sono molto legato al destino di quel popolo - e nel 2012 ho intervistato un rapper di Ramallah: lui mi aveva detto che bisogna essere molto informati per parlare di politica nel rap, perché il rischio sennò è di fare peggio. A questa frase io aggiungo che l’arte, in particolare la musica, riesce a parlare alle emozioni di chi l’ascolta se contiene un principio di verità condiviso tra chi l’ha prodotta e chi la sta ascoltando. Quindi se senti fortemente quello di cui stai parlando, allora è un buon contributo che stai dando nel rapporto dialettico tra te e la società. Ben venga informarsi: quando lo sai è giusto parlarne, sennò prima informarsi poi parlarne, e sennò lasciar perdere.

- La prima canzone si apre con una frase ormai ricorrente per te: In senso lato la vita. Cosa significa?
E’ un format di inizio disco che è nato per caso con il mio primo Ep e che ho ripetuto costantemente. Ragionandoci, credo che sia una premessa comoda, perché è la più ampia possibile. La vita, quando vuoi descriverla metaforicamente, è già apertissima come concetto. In senso lato lo trasla pure, quindi puoi andare dove vuoi.

- Nell’album hai due feat: uno con Willie Peyote, l’altro con Levante: come mai loro e che spunti ti hanno dato?
Ci sono varie dinamiche che possono portare a una collaborazione. Se è nel mio disco vuol dire che io ho la base, sono a servizio del brano, e sto pensando a quale artista potrebbe essere più adatto. In Gasati un mondo mi sono detto che mi serviva la penna affilata e puntale di Willie, e sono stato molto soddisfatto. La stessa cosa per Passeggeri, che era una ballata più dolce, più lenta: mi sembrava che la penna e il timbro di Levante ci stessero bene. E infatti la mia parte preferita di quel brano è il ritornello finale in cui la sua voce si appoggia sopra la mia e cantiamo insieme.

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