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Jannik Sinner, fine del regno: ora inizia la corsa

Più umano inseguire e con 4 finali Slam su 4 e due titoli è un bell’andare. Perché è inseguendo che si cresce, che si inventa, che si diventa davvero campioni. Alcaraz lo ha appena dimostrato. Ora è il turno di Sinner

Federico Sciurpa

09 Settembre 2025, 08:09

Jannik Sinner, fine del regno: ora inizia la corsa

Jannik Sinner, rincorre Alcaraz nel ranking Atp dopo la sconfitta agli Us Open 2025

Fine del regno (senza resa) e reset della gerarchia. La macchina si è fermata. A New York Sinner ha lasciato finale e numero uno. Ha restituito a Carlos Alcaraz il trono tenuto per 65 settimane. Non è una disfatta, è solo un ribaltamento avvenuto nel sontuoso teatro dove gli americani badano al sodo. Jannik aveva rivoltato il copione a giugno 2024 quando era diventato misura del tennis mondiale.

Adesso torna a inseguire nel ranking dopo una striscia di 27 vittorie nei Major sul cemento. Più della sconfitta con un avversario monstre (ormai dai 1000 agli Slam si spartiscono tutto loro), diventa proprio questa del riassetto la traiettoria più interessante.

La partita racconta un cambio di passo. L’asso di El Palmar ha trovato il modo di spezzare il ritmo, di uscire dallo scambio quando serviva, di inventare. Sostenuto da una condizione fisica e di maturità mentale superiori ai suoi 22 anni. Sinner è rimasto dentro il suo binario (roba altissima), quello che per mesi lo aveva reso inattaccabile: pressione da fondo, continuità, pochissimi sbagli. Stavolta non è bastato. Troppo prevedibile, lo ha detto lui stesso.

Lo spagnolo ha variato, ha usato la smorzata come lama, ha attaccato a rete con coraggio, è diventato solido sul rovescio in tutte le rotazioni. È il manuale dell’inseguitore: aggiornare il proprio gioco per ribaltare il padrone del momento.

È esattamente ciò che adesso tocca a Sinner (a partire dalle prime palle dove ha margini enormi, all’energia da ritrovare). Alcaraz lo aveva fatto dopo Wimbledon, lavorando con Ferrero sul servizio e sulle soluzioni rapide anti-Sinner.

Due mesi dopo si è ripresentato con armi nuove invece che con la vacanza lunga a Ibiza. Ora l’italiano deve copiare quel processo: rischiare, rompere la monotonia, mettere in discussione la comfort zone che lo ha portato in cima. È la condizione del campione: non sopravvivere di quello che ha già, ma aggiungere sempre qualcosa.

Ma la finale ha lasciato anche altro: quello che non entra nelle classifiche. L’immagine più forte non è il punteggio, è l’applauso del pubblico americano, che non regala niente a nessuno. Sinner che ringrazia i raccattapalle, che ricambia l’ovazione di Flushing Meadows, che accetta la caduta senza alibi.

È qui che diventa un antieroe moderno: sconfitto, eppure applaudito come un vincitore morale.

Per un anno aveva ribaltato i ruoli, passando da inseguitore a leader. Ora che è stato superato, gli tocca vivere la parte più dura: quella dell’inseguitore che deve reinventarsi. Non è una condanna, è la normalità dei grandi duelli. Non c’è supremazia assoluta, c’è solo un confronto che costringe entrambi a cambiare.

Più umano inseguire e con 4 finali Slam su 4 e due titoli è un bell’andare. Perché è inseguendo che si cresce, che si inventa, che si diventa davvero campioni. Alcaraz lo ha appena dimostrato. Ora è il turno di Sinner.

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