IL CASO
"Abbiamo rimosso il Gruppo Facebook Mia Moglie per violazione delle nostre policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti". Lo riferisce un portavoce di Meta, che spiega: "Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi sessuali o sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme. Se veniamo a conoscenza di contenuti che incitano o sostengono lo stupro, possiamo disabilitare i gruppi e gli account che li pubblicano e condividere queste informazioni con le forze dell’ordine".
Il caso è esploso negli ultimi giorni dopo una denuncia fatta alla polizia postale e il boom di segnalazioni degli utenti, seguiti da commenti di condanna e richiesta di chiusura immediata dello spazio virtuale. Alla denuncia si è associato il gruppo del Partito democratico nella Commissione Femminicidio e violenza del Parlamento: "Basta tolleranza del sessismo e della violenza contro le donne sui social, altrimenti è complicità. Troviamo sconcertante e inaccettabile l’esistenza di queste chat misogine, specchio di una cultura di possesso e sopraffazione che ignora il consenso delle donne. Chiediamo alla piattaforma Meta di chiuderla immediatamente, vigilando sulla sua possibile e purtroppo probabile riapertura sotto altro nome, così come di monitorare qualsiasi altra forma di maschilismo tossico e nocivo, veicolato attraverso i social di sua competenza" commenta la capogruppo Sara Ferrari insieme alle colleghe Antonella Forattini e Valentina Ghio, alle senatrici Cecilia D’Elia e Valeria Valente e al senatore Filippo Sensi.
''Questi gruppi social sono abominevoli. Grazie a chi ha segnalato e commentato tanta violenza e mortificazione. Le piattaforme devono intervenire su questi gruppi che nella logica del branco perpetuano e normalizzano una violenza di genere così becera e aggressiva. Il caso Pelicot non è bastato?" è la presa di posizione del gruppo politico.
Il gruppo Facebook Mia Moglie (seguito da tre emoticon dei cuoricini) era un gruppo pubblico con oltre 31mila iscritti, in cui uomini condividevano fotografie intime delle proprie mogli o compagne senza il loro consenso. Le foto pubblicate erano spesso scatti rubati o selfie privati, mostranti donne in costume, in intimo o in momenti intimi come in cucina o sul divano. Gli iscritti, presentandosi come mariti o compagni, condividevano queste immagini e commentavano con didascalie sessiste, umilianti e volgari.
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