televisione
Il Capo dei Capi
Nel 2007, le reti Mediaset mandavano in onda una produzione che avrebbe fatto storia: Il Capo dei Capi, diretta da Enzo Monteleone e Alexis Sweet. Sei puntate che scandagliano cinquant’anni di mafia siciliana attraverso l’ascesa criminale di Salvatore Totò Riina, il boss dei boss, il volto più spietato della criminalità organizzata italiana. Non si tratta di una fiction come le altre: qui il male non ha il volto romantico dei gangster d’oltreoceano, ma quello concreto, fangoso e crudele del potere mafioso cresciuto tra le strade polverose di Corleone.
Il racconto parte dal 1943, anno cruciale in cui Riina perde padre e fratellino a causa di una bomba alleata. Da quel momento, la strada è segnata: dalla povertà alla criminalità il passo è breve, e Riina (interpretato magistralmente da Claudio Gioè) si fa largo tra i ranghi di Cosa Nostra a colpi di omicidi, alleanze strategiche e tradimenti. Accanto a lui due compagni di sangue: Bernardo Provenzano (Salvatore Lazzaro) e Calogero Bagarella (Marco Leonardi). Insieme conquistano il comando dell’organizzazione più temuta d’Italia.
Tra gli episodi chiave, l’eliminazione del boss Navarra nel 1958, la seconda guerra di mafia negli anni Ottanta (con oltre 500 morti), e naturalmente le stragi del 1992, da Capaci a via D’Amelio, raccontate con crudo realismo tecnico e narrativo. Qui non si fanno sconti: 500 chili di tritolo sotto l’autostrada parlano più di mille parole.
Tra i personaggi più agghiaccianti c’è Giovanni Brusca, interpretato da un inquietante Domenico Centamore. Nella serie è il braccio armato di Riina, l’uomo che uccide Falcone, strangola dissidenti interni come Milazzo e la moglie incinta, e che sarà coinvolto, fuori scena, nel brutale omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Brusca è mostrato come un soldato fedele, feroce e privo di scrupoli, che obbedisce senza battere ciglio e guadagna spazio ai vertici del clan.
Oltre a Gioè e Centamore, troviamo un Daniele Liotti nei panni di Biagio Schirò, amico d’infanzia di Riina diventato poliziotto, simbolo del conflitto insanabile tra legalità e mafia. Il suo personaggio è una figura ambigua, divisa tra dovere e sentimenti, un espediente narrativo che accentua la tensione morale del racconto. Il cast è completato da volti noti come Simona Cavallari e Gioia Spaziani, anche se la scena resta saldamente nelle mani dei Corleonesi.
La serie è apprezzata per la precisione storica (grazie alla consulenza di Attilio Bolzoni, coautore del libro da cui è tratta), per il ritmo serrato e per la colonna sonora firmata da Franco Piersanti. Tuttavia, non mancano le critiche: a molti non è piaciuta l’umanizzazione di Riina, descritto anche nel ruolo di padre e marito. Un rischio sempre presente quando si porta il male in prima serata, perché la televisione, si sa, può confondere la fascinazione con la condanna.
Il Capo dei Capi è più di una serie: è un documento civile. Mostra il volto reale del potere mafioso, quello che ha fatto tremare un intero Paese. E non si limita a raccontare i fatti: li ricostruisce con crudezza, senza retorica, senza edulcorazioni. Oggi, a distanza di anni, la miniserie è ancora visibile su piattaforme come Mediaset Infinity. Un’occasione per i più giovani di conoscere, e per i meno giovani di ricordare.
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