Venerdì 05 Settembre 2025

QUOTIDIANO DI INFORMAZIONE INDIPENDENTE

DIRETTORE
SERGIO CASAGRANDE

×
NEWSLETTER Iscriviti ora

LIVE

logo radio

Il personaggio

Il Papa americano con la racchetta nella valigia: Leone XIV, così è scoppiato l'amore per il tennis

Prevost e la passione per questo sport, senza farne una parabola. E questo, paradossalmente, è il messaggio più potente che manda

Federico Sciurpa

10 Maggio 2025, 10:05

Il Papa americano con la racchetta nella valigia: Leone XIV, così è scoppiato l'amore per il tennis

Il Papa Leone XIV, il tennis è la sua passione (foto LaPresse)

Il nuovo Papa, Leone XIV, nato Robert Francis Prevost, non è un pontefice da metafore sportive o catechesi sul fair play. È uno che il tennis lo gioca. O meglio: lo giocava regolarmente fino a pochi anni fa, quando gli impegni vaticani hanno frenato i set settimanali. Pochi minuti dopo l’elezione, i media mondiali scandagliavano i suoi documenti pastorali. Sarebbe bastato consultare Bolavip.com, dove lo stesso Prevost aveva ammesso: “Mi considero un grande fan del tennis. Giocavo ogni settimana in Perù. Spero di tornare presto in campo.” Un vescovo, ora Papa, che gioca a tennis.

Non è un hobby casuale. È una costante della sua vita. Non ha mai cercato di nasconderlo e, cosa rara per un uomo di Chiesa, non l’ha mai voluto caricare di simbolismi banali. Niente parabole sullo sport che eleva l’anima o sermoni a tutti i costi sui valori. Solo una dichiarazione onesta di passione.
Leone XIV ha giocato a tennis durante il suo lungo periodo in Perù, quando era vescovo di Chiclayo

Non era un vezzo aristocratico. Nei centri giovanili e nei circoli sportivi poveri di Chiclayo, il vescovo Prevost era noto per le partite con fedeli e ragazzi del quartiere, raccontano fonti locali. E giocava con chiunque. Non per "evangelizzare attraverso lo sport" - tentazione tipica di certa pastorale spettacolare -, ma semplicemente per divertirsi. A volte, sorprende più la normalità che il sacro.


Quando poi fu chiamato a Roma per incarichi dottrinali, portò con sé una racchetta. America Magazine ha riferito che ancora nel 2023 si cimentava in qualche partita nei circoli sportivi religiosi vicino a Trastevere. Senza fotografi, senza social, senza messaggi edificanti. Solo una racchetta, un campo e qualche avversario disposto a rischiare di perdere contro un futuro Papa.
Ah, lo sport. Prevost è cresciuto a Chicago, città che vive di sport come pochi luoghi al mondo. Il baseball era ovunque e la famiglia Prevost seguiva le squadre locali. Secondo il blog Bleed Cubbie Blue e il New York Post, alcuni lo collegano ai Chicago Cubs, altri suggeriscono simpatie per i White Sox (uno dei fratelli ci illumina: è lì il suo cuore), attraverso legami familiari. Ma se il baseball era il grande spettacolo cittadino, il tennis è la sua palestra personale.
Uno sport individuale, dove la vittoria o la sconfitta dipendono solo da chi scende in campo. Lo stile di leadership di Leone XIV sembra forse riflettere questa impostazione: decisioni rapide, responsabilità personale, poco spazio per le indecisioni collegiali. Quando servono riforme, il nuovo Papa decide. Serve.


Già, lo sport in Vaticano. Negli ultimi decenni ha avuto ruoli curiosi. Giovanni Paolo II sciava e scalava montagne (non senza telecamere al seguito). Benedetto XVI preferiva il silenzio dei libri. Francesco amava il calcio, ma non ha mai più giocato dopo l’ordinazione. Leone XIV rompe il copione: non usa lo sport per comunicare valori. Lo pratica per il gusto di farlo.
Vana appare così la ricerca di significati teologici dietro la racchetta di Leone XIV. Si va a caccia di simboli dove lui, semplicemente, vede un attrezzo da gioco. Quando tornerà in campo - qualche allenamento privato è forse in agenda nei circoli vaticani, chissà - non sarà per mandare messaggi edificanti al mondo. Sarà per scaricare la pressione. Come farebbe chiunque altro in un lavoro - vogliamo sbilanciarci? - impossibile come il suo.
Leone XIV rappresenta qualcosa di raro: un uomo di fede che non sente il bisogno di spiritualizzare tutto ciò che fa. Ha una passione per il tennis e non ne fa una parabola. E questo, paradossalmente, è il messaggio più potente che manda. Viviamo tempi in cui anche la più semplice preferenza personale deve trasformarsi in racconto edificante, marketing spirituale o lezione morale. Il Papa americano ha scelto di non giocare quella partita.
Se riuscirà, fra una riforma curiale e una crisi internazionale, a infilare un’ora di tennis a settimana, sarà un piccolo trionfo della normalità in un ruolo che di normale non ha nulla. Il resto è solo rumore di fondo. Uno smash finito a rete.

Newsletter Iscriviti ora
Riceverai gratuitamente via email le nostre ultime notizie per rimanere sempre aggiornato

*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy

Aggiorna le preferenze sui cookie