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Delitto di Perugia

Parla per la prima volta il fratello di Hekuran: "Mi chiedeva come stavo mentre moriva"

Francesca Marruco

11 Novembre 2025, 08:00

Omicidio Perugia, perquisite le case dei due giovani stranieri indagati per la morte di Hekuran Cumani

Hekuran Cumani

“La sua preoccupazione era come stavo io. Mi ha chiesto fino all’ultimo momento di vita se io stessi bene, era la persona più buona del mondo”. Le parole escono a stento, il dolore è ancora troppo vivo, le lacrime spezzano le frasi. Ma Samuele Cumani, che si è visto morire il fratello davanti agli occhi, vuole ugualmente raccontare chi era Hekuran. E’ appena uscito dai padiglioni dell’Istituto di medicina legale a Perugia, dove è stato visitato perché addosso porta ancora, e porterà a lungo, le ferite e le conseguenze delle botte prese quella maledetta notte nel parcheggio del Dipartimento di Matematica.

“Io e Hekuran – racconta in esclusiva al Corriere dell’Umbria – non abbiamo partecipato alla rissa e nemmeno alla discussione che l’ha preceduta, è successo tutto in poco tempo, era buio ed era impossibile capire bene”. Samuele Cumani, ascoltato a lungo in questura all’indomani dell’omicidio del fratello, è stato l’ultimo a vederlo in vita, ma non ha assistito alla coltellata che per Hekuran è stata fatale. “Io l’ho visto cadere - ricorda - probabilmente perché aveva già ricevuto la coltellata, era a diversi metri da me, poi, anche se a fatica, si è rialzato ed è riuscito ad arrivare fino al punto in cui mi trovavo io, che ero stato già picchiato e ferito. Si è accasciato vicino a me e mi ha chiesto come stai? Perché la sua unica preoccupazione era come stessi io”.

Samuele parla con un filo di voce, tornare anche solo con la mente a quel momento è uno percorso inumano. Ma vuole lo stesso raccontare chi fosse il fratello, che, nell’ultimo istante in vita, cercava solo di rassicurarlo. “Io non mi sono reso subito conto che lui era ferito perché da fuori non si vedeva niente, ma volevo anche sapere come stesse, gli ho chiesto più volte ‘ma tu come stai, come stai’, perché vedevo che la sua faccia era cambiata, gli ho detto stai bene? E l’ultima cosa che mi ha risposto è stata ‘sto bene non ti preoccupare’. E poi..” le parole per dire che era morto non riescono a uscire. Le urla disperate di quella notte hanno ceduto il passo al vuoto di una perdita impossibile con cui convivere.

“Non lo dico perché era mio fratello - dice Samuele quasi a giustificarsi - ma lui era davvero il più buono di tutti, era un pezzo di pane, non litigava mai con nessuno”. E anche quella sera, come del resto sta scritto anche nel capo di imputazione, i due fratelli non avrebbero partecipato attivamente alla rissa. “Io e Hekuran - spiega ancora Samuele - non avevamo litigato con nessuno, nessuna discussione, non avevamo partecipato alla rissa e non avevamo avuto proprio nulla a che fare con loro (il gruppo di cui fa parte il presunto assassino di Hekuran, ndr). Ma a un certo punto io mi sono trovato tante persone sopra di me, non ho capito bene cosa stesse succedendo, né a me né a lui. Quando l’ho visto di nuovo era stato già ferito”. Lo choc per non aver potuto fare nulla per il fratello è un fardello complicato.

Mi hanno ferito e picchiato in tanti, anche il buttafuori”, spiega mentre il fratello maggiore, Denis, che lo ha accompagnato a Perugia insieme agli avvocati Daniele Carmenati e Claudio Alianello, si toglie la giacca per coprirlo. Lui è ancora in sedia a rotelle, a quasi un mese da quella notte non può camminare sulle sue gambe per le conseguenze delle ferite riportate nell’aggressione. E di quella sera Samuele vuole sottolineare un altro aspetto: “Non è vero, che ci hanno controllato con il metal detector all’entrata come è stato detto”.

Denis invece, che accetta di condividere un ricordo del fratello ucciso brutalmente per una discussione a cui non aveva nemmeno preso parte, racconta di quando nell’hotel a Senigallia in cui lui è impiegato come chef e Hekuran lavorava l’estate, le persone lo cercavano perché era gentile. C’è una foto nei social in cui Hekuran gioca a carte con un gruppo di anziane: “Gliel’ho scattata io, quando venivano i gruppi a settembre volevano sempre lui perché trattava bene le persone, si metteva a fare le partite a carte la sera con le signore anziane, era così lui, si rivolgeva a tutti con un amore infinito”.

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