CRONACA
Il parcheggio della facoltà di Matematica, dove è stato ucciso Hekuran Cumani (a sinistra). Yassin Amri (a destra)
Quando è risalito nell’Audi dell’amico, pochi istanti dopo aver accoltellato Hekuran e aver gridato all’altro ragazzo armato del suo gruppo, “corri fra scappiamo che l’ho bucato”, ha mostrato il coltello insanguinato agli altri. “L’ho bucato - ripeteva - l’avrò ammazzato?”. Insieme hanno anche cercato di quantificare la lesività della ferita, misurando con le dita la lama impregnata di sangue, mentre a pochi metri da loro, Heku era già morto.
Ma questo, il 21enne Yassin Amri, in carcere in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato da venerdì sera, lo scoprirà poche ore dopo il delitto, quando riceve una telefonata mentre si trova a casa di un’amica da cui va per disfarsi dei vestiti che aveva addosso. È stata lei - come anticipato ieri dalla Tgr Umbria - a raccontarlo agli inquirenti, quando sono andati a prendere quel paio di pantaloni con una banda nera e la felpa che Amri aveva indosso al momento dell’omicidio.
“Qualcuno lo ha chiamato mentre era qui in casa da me e gli ha detto che quel ragazzo era morto, si è messo a piangere disperatamente” ha spiegato la giovane, che ha subito collaborato con gli agenti della squadra mobile, consegnando loro gli abiti che l’amico le aveva espressamente chiesto di “nascondere per lui”. La collaborazione di alcune delle persone ascoltate nel corso delle indagini, subito dopo l’omicidio di Hekuran, è un elemento che ieri mattina, il procuratore Raffaele Cantone - nel corso della conferenza stampa in questura in cui, insieme al questore Dario Sallustio, alla pm titolare dell’inchiesta Gemma Miliani, alla dirigente della squadra mobile, Maria Assunta Ghizzoni hanno dato notizia dell’arresto del presunto assassino - ha sottolineato in diversi passaggi. “Abbiamo ricevuto discreta collaborazione da quasi tutte le persone che il 21enne ha contattato dopo l’omicidio”.

Coetanei di Amri, alcuni dei quali presenti nell’Audi A3, a bordo della quale si è allontanato subito dopo l’omicidio avvenuto nel parcheggio del Dipartimento di Matematica in via Pascoli, e che, nei giorni successivi hanno commentato tra loro quel che l’amico aveva detto. Non sapevano di essere intercettati dalle cimici ambientali piazzate nelle auto dalla polizia, ma poi, quando sono stati interrogati, hanno confermato tutto agli inquirenti. Un barlume di capacità di discernimento del bene dal male in una storia agghiacciante, in cui un ragazzo è morto al culmine di una lite iniziata, come anticipato dal Corriere dell’Umbria, per un “forza Marocco” preso come uno sfottò.
A pronunciare questa frase, è emerso al termine di una serata al 100Dieci in cui i due gruppi si erano praticamente ignorati, è stato uno dei ragazzi che insieme alla vittima era venuto a Perugia per passare una serata da Fabriano: l’ha detto a due giovani che parlavano tra loro di una partita della nazionale del Marocco. Il 18enne arrestato la scorsa settimana - accusato di aver partecipato alla rissa - reagisce con una frase molto offensiva e scatta un primo confronto che ben presto degenera con le botte. È a quel punto che il 18enne chiama la fidanzata e le dice di raggiungerlo nel parcheggio. È dentro la sua Opel Corsa che prende un coltellaccio da cucina. Lo impugna mentre si dirige verso i ragazzi di Fabriano e lo butta a terra quando lo invitano a “confrontarsi a mani nude, da veri uomini”. Mentre loro si picchiano - secondo la ricostruzione dell’accusa - Yassin va a prendere il giubbotto dentro il quale teneva un coltello. Raccoglie anche quello dell’amico a terra e si fronteggia con Hekuran che quasi subito viene colpito a morte. È sempre in quei frangenti che viene ferito anche Samuele, il fratello della vittima, picchiato sia da un buttafuori del locale (per questo indagato per lesioni) che probabilmente dal 21enne con la lama.
“Nessuno ha visto l’attimo preciso del ferimento” ha spiegato il sostituto procuratore titolare dell’inchiesta, Gemma Miliani “e in un primo momento avevamo anche dichiarazioni discordanti sui vestiti indossati da chi si era fronteggiato con Hekuran. Solo dopo abbiamo ricostruito che c’era stato una specie di cambio di abito quando si è messo il giubbotto nero in cui aveva il coltello”. A questo proposito, il procuratore Cantone ha sottolineato quanto sia “preoccupante che si vada a una festa portandosi una lama in tasca, quindi con l’idea che la si possa utilizzare. E questo ragazzo - ha spiegato - portava un coltello con sé praticamente sempre”.
Formalmente incensurato, giocatore di calcio in una squadra dell’hinterland perugino, Amri, oltre ad essersi disfatto degli abiti, lasciati a casa dell’amica ed essersi fatto prestare da lei una tuta, ha pure tentato in altri modi di depistare le indagini. Il coltello dell’omicidio non è stato ancora ritrovato. E poi, dopo essersi disfatto del telefono cellulare, ha fatto consegnare alla polizia, da sua sorella, un cellulare non utilizzato da anni e quindi inutile per le indagini. A suo carico, secondo il procuratore Cantone - che ha annunciato la prosecuzione delle indagini, sia per quanto riguarda l’omicidio che per le responsabilità legate agli altri reati - esistono “elementi granitici”.
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