Gli indagati, l’agendina, il disegno
All’epoca dei fatti il primo sospettato è il portiere della palazzina di via Poma, Pietrino Vanacore. Seguono Federico Valle, nipote dell’ingegnere residente nello stabile, e infine Raniero Busco, ex fidanzato della vittima. Col tempo, i sospetti si allargano a Mario Vanacore, figlio del portiere; Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta, fino ad arrivare ai cosiddetti “poteri forti” e all’“eccellenza”. Con le sue ospiti, Rinaldi torna sui misteri e sulle incongruenze dell’inchiesta. Si parla di oggetti scomparsi o mal repertati. La cartelletta beige che Simonetta aveva con sé il giorno del delitto, per esempio, non è mai stata rinvenuta. Mai recuperati nemmeno i vestiti. E poi l’agendina rossa, sparita e riemersa: un vero enigma investigativo. Inizialmente data per dispersa, l’agendina spunta fuori con tre pagine strappate tra gli oggetti consegnati per errore alla famiglia Cesaroni, che poi la restituisce alla Procura. In seguito torna nella disponibilità del portiere, coinvolgendo Mario Vanacore, che secondo gli inquirenti, il giorno dell’assassinio, l’avrebbe usata per effettuare telefonate dagli uffici di via Poma. Poi, sorpreso da Simonetta, avrebbe ceduto a un impulso sessuale che si sarebbe concluso con l’omicidio. Le accuse a suo carico cadono perché non sono sufficienti per approfondire le indagini di un caso che resta confuso anche per varie omissioni e anomalie, come le macchie di sangue ignorate durante i primi sopralluoghi. È Mirco Vanacore, figlio minore del portiere, a notarle alcuni giorni dopo, mentre si occupa del condominio al posto del padre, trattenuto in carcere dal 10 agosto. Due di queste tracce sono inizialmente attribuite a Simonetta, ma successivamente si scopre che appartengono a un DNA maschile non identificabile. E ancora, c’è il mistero del foglietto con il disegno di una bambina e una margherita e la scritta “CE dead ok”, inizialmente valutato come un messaggio legato al delitto, per poi scoprire, dopo anni, che si tratta di uno schizzo realizzato da un agente di polizia presente durante il sopralluogo notturno sulla scena del crimine.
I nomi importanti
I sospetti non hanno risparmiato neppure i nomi più influenti. Tra questi, l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, all’epoca presidente dell’AIAG (Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù). In quanto datore di lavoro pure lui della vittima, è naturale che venga contattato subito dopo il delitto, sia per motivi formali sia per avviare le verifiche del caso. La sua irreperibilità nelle ore successive è uno dei punti sollevati in trasmissione. Caracciolo ha sempre dichiarato di non disporre di un telefono nella casa di campagna in cui si trova il giorno del delitto, sostenendo che le urgenze vengono trasmesse dal suo fattore, Mario Macinati. Ma qui nasce l’incongruenza: Macinati lo smentisce, affermando che la telefonata è arrivata e che la notizia viene comunicata a Caracciolo. Secondo l’avvocata Federica Mondani e la giornalista Raffaella Fanelli, la figura di Caracciolo sarebbe più controversa di quanto sembri: si parla del suo interesse per giovani donne, tra cui la figlia dello stesso Macinati, che lo avrebbe denunciato. Inoltre, tre giorni dopo il delitto, si sarebbe recato negli uffici dell’AIAG di via Poma per prelevare dei documenti, nonostante l’appartamento fosse sotto sequestro. E parlando di documenti, è inevitabile il riferimento a Massimo Carminati, noto per Mafia Capitale, che nel 1999 entra nel caveau della cittadella giudiziaria in piazzale Clodio, svuotando 147 cassette su 900, tra cui quelle del giudice Domenico Sica, che segue il processo Pecorelli, e di Caracciolo di Sarno.
I giornalisti
Nel corso delle indagini, tra un intoppo e l’altro, il contributo dei giornalisti è stato cruciale. Come quello di Emilio Radice, che raccoglie l’anticipazione di un magistrato riguardo a un’“eccellenza” che avrebbe disposto di procrastinare la custodia cautelare di Pietrino Vanacore, nonostante fosse già stata disposta la sua scarcerazione. E poi il reporter Gennaro De Stefano che tre anni dopo il delitto scopre la presenza di Sergio Costa, funzionario del SISDE, il servizio segreto civile italiano, sul luogo del crimine. La sua presenza non è mai stata ufficialmente registrata: un dettaglio che alimenta ipotesi e dubbi sul suo coinvolgimento nella vicenda.
Le nuove indagini
“Oggi speriamo di arrivare alla verità e a questo punto noi non ci fermiamo, andremo avanti”, dichiara Federica Rinaldi: “le indagini stanno andando nella direzione che la famiglia sperava da anni. È cambiato il team degli inquirenti, è cambiato il procuratore, un giudice ha dato una spinta e delle linee guida precise e la procura si sta allineando ed è il motivo per cui, per tornare al collegamento di Chiara Poggi, siamo particolarmente in silenzio. Dobbiamo rispettare il segreto probatorio”.