IL CASO
Simonetta Cesaroni
Come anticipato dal giornalista e conduttore Pino Rinaldi, la trasmissione del 25 settembre di Ignoto X, in onda su La7 alle 18.30, ha offerto un punto di vista inedito sul delitto di via Poma. A parlare e a sollevare dubbi e sospetti è Mario, figlio di Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile in cui venne assassinata Simonetta Cesaroni, morto suicida nel mare di Torre Ovo, in provincia di Taranto. Il corpo, ritrovato dai carabinieri, era legato alla caviglia con una corda, l’altra estremità fissata a un albero sulla riva. Con sé aveva due biglietti d’addio in cui scriveva di essere perseguitato da vent’anni.
Durante l’intervista, Mario Vanacore ricostruisce la sera del delitto di Simonetta Cesaroni. Quel giorno era a Roma con la moglie e la figlia Valentina per far visita al padre. Dopo un viaggio notturno, alle 9 del mattino erano già in via Carlo Poma 2. Padre e figlio trascorrono la mattinata insieme: Pietrino, orgoglioso, mostra alcuni lavori a cui teneva molto, tra cui un carrellino verniciato di marrone con doppia funzione: trasportare vasi e ridurre lo sforzo fisico, dato che soffriva di mal di schiena. A pranzo, la famiglia si riunisce: Pietrino, sua moglie Pina, Mario, la moglie e la piccola Valentina. Dopo il riposo, verso le cinque, arriva Cesare Valle, noto architetto e nonno di Federico, tra gli indiziati per l’omicidio, con una torta di benvenuto.
Tra Valle e Vanacore c’era un rapporto di fiducia e amicizia: Pietrino, all’occorrenza, dormiva a casa dell’anziano architetto per assisterlo. Anche quella sera si trasferì nel suo appartamento. La famiglia restò in casa, finché qualcuno bussò alla finestra: una ragazza non era tornata, bisognava cercarla. Pina, inizialmente incerta, non sa come reagire, non essendo lei l’amministratrice del condominio. Ma, superate le esitazioni, Pina e Mario si uniscono al gruppo che stava cercando Simonetta: la sorella Paola Cesaroni, il fidanzato Antonello, il datore di lavoro della ragazza, Salvatore Volponi e suo figlio Luca.
A questo punto, l’intervista cambia registro. Mario Vanacore racconta un dettaglio rilevante: Volponi si avvicina alla moglie del portiere, la signora Pina, e le dice: “Signora, si ricorda di me? Sono stato qui altre volte”. Secondo Mario, lo scambio avviene lontano dagli altri, quasi sottovoce. Pina conferma di riconoscerlo. Il dialogo finisce lì. Dopo un giro di chiave a quattro mandate, il gruppo si prepara a entrare nell’appartamento. Volponi invita Pina a entrare per prima, ma lei risponde: “Scusi, entri lei che è il datore di lavoro”. Volponi entra, ispeziona la prima stanza, forse senza accendere le luci, e riferisce di non aver notato nulla di anomalo. Sta per rinunciare, ma Pina lo invita a controllare le altre stanze. È durante questa seconda ispezione che arriva la scoperta: “Tenete Paola”, esclama Volponi, sconvolto, riferendosi alla sorella della vittima. Qualcuno la trattiene, mentre Mario Vanacore e Antonello entrano nella stanza dove si trova il corpo della ragazza. Chiudono la porta alle spalle.
“Era lì, di spalle, con i capelli all’indietro, come se l’avessero trascinata”, racconta Mario con un filo di commozione. Riemerge anche qui il tema del sangue scomparso, uno degli aspetti che ha segnato il delitto. Nella stanza non c’era molto sangue, solo un alone intorno alla testa. Il corpo mostrava segni scuri, ma di spalle non sembrava accoltellata. Il gruppo lascia l’appartamento, chiude a chiave e scende: la polizia, chiamata da Antonello al momento del ritrovamento, è appena arrivata. C’è fermento. Mario ricorda che qualcuno, poi identificato come membro dei servizi segreti, chiese di usare il telefono. Era Sergio Costa, funzionario del Sisde, all’epoca distaccato alla Questura di Roma come responsabile della centrale operativa. Figura controversa nel caso, accusata di aver esercitato pressioni sugli inquirenti per indirizzare le indagini. Il racconto di Mario si chiude con il giorno successivo: lui e il padre vengono convocati in questura e Pietrino viene fermato.
In questa parte dell’intervista, l’attenzione si sposta sulle domande della giornalista, che solleva un dubbio mai chiarito: “Lei è mai stato in quegli uffici?”. È un passaggio importante: la sua presunta presenza nei locali di via Poma per chiamate interurbane è stata spesso oggetto di sospetti. Ma Mario risponde secco: “Non sapevo neppure esistessero”.
Poi l’attenzione si concentra sul tema più doloroso: la morte di Pietrino Vanacore. Mario non crede al suicidio del padre. Quella mattina, dice, era l’uomo di sempre: era uscito per le solite faccende. Il messaggio è chiaro: un uomo che progetta il suicidio avrebbe davvero pensato di fare il pieno, comprare le sigarette e fare la spesa? Mario respinge anche l’ipotesi che il padre si fosse stordito con l’anticrittogamico prima del gesto. Un’ipotesi che per lui appare forzata, costruita per giustificare la tesi del suicidio, a cui non ha mai creduto. L’autopsia, del resto, non ha confermato questa versione. Un altro dettaglio inquietante resta l’apparecchio per i denti ritrovato a riva. “Se vai al largo e annaspi, magari ti può cadere… ma a riva? Cosa c’entra”? Tra le tante insinuazioni mai confermate, c’è anche quella secondo cui Pietrino Vanacore avrebbe ripulito la scena del crimine: un’azione ritenuta improbabile, secondo il figlio, perché non si sarebbe macchiato nemmeno di una goccia di sangue.
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