IL CASO
Simonetta Cesaroni
Il delitto di via Poma, a Roma, torna di nuovo al centro dell’attenzione. A 35 anni dall’omicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto in circostanze ancora da chiarire, nuove e sconvolgenti rivelazioni sono state annunciate dal giornalista Pino Rinaldi nel corso della trasmissione preserale Ignoto X, in onda su La7, dal lunedì al venerdì, alle 18.30. “Quello che stiamo scoprendo è qualcosa che fa impallidire Garlasco”, ha dichiarato Rinaldi nel corso di un collegamento con Dimartedì di Giovanni Floris, anticipando la nuova puntata. Tante le novità sulle prossime indagini e su ciò che pare essere sfuggito a quelle precedenti. Misteri che verranno approfonditi nei prossimi appuntamenti, come quello di oggi, giovedì 25 settembre, in cui si parlerà della figura di Pietro Vanacore, il portiere dello stabile in cui avvenne l’omicidio. Si parlerà di cosa accadde durante i suoi giorni di detenzione. “Una storia che deve essere sentita”, ha anticipato Rinaldi. Vanacore, inizialmente accusato e poi completamente scagionato, si tolse la vita nel 2010, poco prima del processo in cui avrebbe dovuto rendere la sua deposizione.
A rilanciare recentemente il caso è stata la giudice Giulia Arcieri, del Tribunale di Roma, che ha disposto la riapertura dell’inchiesta rimasta irrisolta per 35 anni. Un provvedimento di cinquanta pagine fornisce agli inquirenti indicazioni dettagliate e potenzialmente in grado di condurre a sviluppi clamorosi. Ci sarà una rivisitazione dei DNA e un recupero dei reperti. Circa 40 persone verranno riascoltate, di cui 30 già attenzionate all’epoca dei fatti. L’avvocata Federica Mondani, che assiste la famiglia di Simonetta, nel frattempo ha prodotto documenti di grande rilevanza, tra cui i fogli firma, dai quali “emerge chiaramente che molti hanno mentito. In realtà erano lì quei giorni della settimana, hanno firmato quei fogli. Quindi hanno mentito per anni, quando venivano ascoltati dal pubblico ministero e hanno mentito durante il processo Busco”.
Via Poma: così identifichiamo la morte di Simonetta Cesaroni. Un nome legato a un luogo, quello in cui è stato rinvenuto il suo corpo il 7 agosto 1990. Ha 20 anni, Simonetta, è una ragazza come tante. Suo padre, Claudio, fa il tranviere alla metropolitana di Roma; sua madre, Anna, è casalinga. Simonetta lavora come impiegata presso lo studio commerciale Reli S.a.s., gestito da Ermanno Bizzocchi e Salvatore Volponi. In questo periodo, il martedì e il giovedì, presta servizio nella sede di via Carlo Poma n. 2, presso gli uffici dell’A.I.G. (Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù). Il suo datore di lavoro è Volponi che il giorno della sua scomparsa le propone di accompagnarla, ma la ragazza declina la proposta. Quel giorno, il 7 agosto 1990, Simonetta pranza con sua mamma nel quartiere Don Bosco di Roma, un pasto interrotto da una telefonata che pare turbarla. Esce per andare al lavoro accettando un passaggio dalla sorella Paola che la lascia alla fermata della metropolitana. Con sé ha una cartelletta beige. Da allora, la famiglia non la rivedrà mai più viva. L’ultima traccia certa è una telefonata di lavoro ricevuta verso le 17.30 da una dipendente degli ostelli. Poi, il silenzio. Alle 20 Simonetta non è ancora tornata a casa. La famiglia è in ansia: i minuti corrono. La sorella, insieme al suo fidanzato Antonello, si attiva per cercarla. Alle 21.30 i due si recano a casa di Salvatore Volponi, per capire dove possa essere la ragazza. Ma lui afferma di non avere notizie. Chiama allora il socio, Ermanno Bizzocchi, che però non si trova a Roma. Poi, sempre Volponi, tenta di contattare il figlio Luca, probabilmente come supporto per aprire i locali. Intanto il tempo passa. Paola Cesaroni trova l’indirizzo sulle pagine gialle: via Carlo Poma, n.2. L’impressione dei familiari di Simonetta, come riferisce l’avvocata Mondani, è che dietro quei ritardi e quelle esitazioni, si celasse un tentativo di rallentare, o forse ostacolare, le ricerche. Intorno alle 23, Paola Cesaroni, il suo fidanzato, Salvatore Volponi e suo figlio Luca arrivano in via Poma. Trovano l’appartamento chiuso a chiave e nessuno che risponde al campanello. Il figlio di Volponi è costretto a scavalcare il cancello per far entrare il gruppo, poiché Pina De Luca, moglie del portiere Pietrino Vanacore, inizialmente titubante, si rifiuta di aprire. Quando infine decide di sbloccare l’ingresso, la scena che si presenta agli occhi di tutti è quella tragicamente nota: Simonetta giace a terra, uccisa con 29 coltellate.
La ragazza è seminuda, indossa il reggiseno e i calzini bianchi. Un corpetto appoggiato all’addome e le scarpe allineate accanto al cadavere. Gli altri indumenti non sono stati mai più ritrovati come pure la cartelletta che la vittima aveva con sé quando è uscita di casa. Nonostante sia stata cercata più volte durante le indagini, questo oggetto è scomparso dalla scena del crimine e non è mai stato recuperato. Mentre Paola Cesaroni viene portata via, il fidanzato nota una striscia di sangue sulla porta che poi non sarà più visibile nelle fotografie successive. La scena del delitto di via Poma presenta evidenze di essere stata ripulita sia poco dopo l'omicidio sia durante le prime fasi delle indagini. È inspiegabile inoltre l’assenza di tracce ematiche compatibili con le 29 coltellate che causarono la fuoriuscita di oltre tre litri di sangue dalla vittima. L'autopsia infatti ha rivelato che Simonetta Cesaroni è stata colpita da 29 coltellate, di cui 6 al volto, molte a profondità di circa 11 centimetri, con ferite concentrate su volto, collo, torace e zona genitale. La vittima fu anche immobilizzata con violenza, con evidenti ematomi dati dalla pressione delle ginocchia dell'assassino sui fianchi, e colpita al capo con un trauma che la fece perdere conoscenza prima dell'assalto finale con il coltello. Un crimine efferato che ha lasciato poche tracce e tanti misteri. Come quello della serratura dell’ufficio, cambiata mentre c'erano ancora i sigilli. Elementi indicativi del fatto che vecchie indagini siano state inquinate e condizionate dai “poteri forti” e dai servizi segreti. Un’ipotesi emersa formalmente dal decreto in cui la GIP, Giulia Arcieri, ha disposto la riapertura del delitto di via Poma nel dicembre 2024.
Quelli del delitto di via Poma sono stati diversi nel corso di questi 35 anni. Tutti prima indiziati poi scagionati. Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile in cui avvenne il delitto di Simonetta Cesaroni, fu uno dei primi indagati. Nella fascia oraria in cui si presume sia stato commesso l’omicidio, tra le 17.30 e le 18, Vanacore, a differenza degli altri custodi, non era presente nel cortile e risultava irreperibile. Un’assenza che l’uomo non è mai riuscito a spiegare in modo convincente. Altri elementi che concentrarono l’attenzione investigativa su Vanacore furono alcune tracce di sangue ritrovate sui suoi pantaloni e l’acquisto di una smerigliatrice, effettuato pochi giorni prima del delitto, che secondo gli inquirenti avrebbe potuto essere usata per cancellare indizi dalla scena del crimine. Vanacore fu tratto in arresto il 10 agosto 1990 e rimase in custodia cautelare per 26 giorni. Tuttavia, accertamenti successivi dimostrarono che la macchia di sangue apparteneva al suo stesso gruppo sanguigno e che non vi erano evidenze dell’uso della smerigliatrice sul luogo dell’omicidio. Fu quindi scarcerato. Ogni accusa nei suoi confronti venne archiviata nel 1991, senza mai arrivare al dibattimento. Ma quando quel capitolo sembrava definitivamente chiuso, nel marzo 2010 arrivò la notizia della sua morte: Vanacore si tolse la vita poco prima di deporre come testimone in un processo legato al caso di via Poma.
Il secondo sospettato fu Federico Valle, 21 anni, nipote di un noto architetto, che all’epoca dei fatti risiedeva nello stabile di via Poma. A sollevare l’attenzione degli inquirenti furono le dichiarazioni di un commerciante austriaco, Roland Voller, il quale riferì che Federico Valle si trovasse in via Poma all’ora del delitto e che sarebbe rientrato a casa con un braccio insanguinato. Tuttavia, il sangue presente sugli indumenti di Valle non risultò compatibile con le tracce ematiche rinvenute sulla scena del crimine. Il giovane fu completamente prosciolto da ogni addebito. Anni dopo si scoprì che Voller era un truffatore con legami nel mondo dell’alta finanza.
Veniamo a Raniero Busco, il terzo indagato, all’epoca fidanzato di Simonetta Cesaroni. Le contestazioni a suo carico includevano un morso su un seno della vittima, ritenuto compatibile con la sua arcata dentale, e tracce di DNA rilevate sul corpetto indossato da Simonetta. Nel 2010 Busco fu condannato in primo grado a 24 anni di reclusione, ma due anni dopo venne assolto in appello poiché le prove non furono ritenute inequivocabili. Il morso non veniva più considerato tale e il DNA risultava riconducibile anche a due profili genetici non identificati.
Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta, è stato forse uno dei principali nomi al centro dei sospetti per l’opinione pubblica, ma non dal punto di vista giudiziario. All’epoca, infatti, non emerse alcun elemento probatorio a suo carico: il DNA risultò incompatibile con le tracce rinvenute sul corpo della vittima e l’uomo disponeva di un alibi verificabile nella fascia oraria in cui si ritiene sia avvenuto il delitto.
Indiziati, processi, assoluzioni: 35 anni di sospetti senza colpevoli. Il caso non è chiuso. Anzi, si apre una nuova fase; sull’onda di inchieste come quella di Garlasco, potremmo assistere al secondo tempo di questo cold case che ha coinvolto emotivamente l’Italia e che merita chiarezza e giustizia.
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