Le bandiere esistono. Da sempre se ne agita una nel confine immortale della memoria del Grifo. Discreta e potente da scuotere ancora la fascia; veloce come il vento: quella di Antonio Ceccarini.
Il Cecco, Tonino come lo chiamavano a Sant’Angelo in Vado dove è nato (mai Tony): per tutti Tigre.

Il
Tigre, meglio; ché ogni tifoso del
Perugia - da quasi mezzo secolo - pronuncia solo al maschile. Quel nome d’arte (con gli anni non solo) glielo aveva imposto un cronista del Perugia dei miracoli,
Claudio Sampaolo, che oggi sul Tigre ha scritto un libro. Viene presentato sabato (ore 11) alla
Sala dei Notari. Nel cuore della città che, ricambiato, Ceccarini ha scelto e amato.
Il volume ha per titolo
“Tigre - storia romantica di un terzino” (Morlacchi editore, prefazione di
Brunello Cucinelli) ed è un libro di calcio, è per chi ha il
Grifo nell’anima, ma è molto altro: la narrazione sentimentale – non melensa e nostalgica - di un’epoca.
Lo è perché
Grazia Conti, una ragazza del Borgo (leggi
Sansepolcro) diventata la signora Ceccarini, decide di fare un racconto intimo e bello di quel
Cecco (non ancora
Tigre) incrociato a
Città di Castello e diventato l’uomo della sua vita. Il bel tenebroso con gli occhiali scuri, ben vestito e dal sorriso avaro che lei disprezzava un po’, tanto lo amava.
Una storia che inizia fra i trattori dei Ceccarini nella cittadina del tartufo e da
Bocca Trabaria arriva a
Città di Castello dove il giocatore strappa un contratto da
40 mila lire a
Silvano Ramaccioni (lo aveva visto giocare a Pistrino). Anni dopo lo stesso diesse lo porterà al
Grifo per
122 milioni.
Il triangolo valtiberino si chiude a
Sansepolcro dove il futuro
Tigre sposa
Grazia: chiese la mano per lettera a lei e alla famiglia (giocava in Sicilia).
Nel libro ci sono le testimonianze dei figli perugini
Matteo e Gaia, curate e vere alla stregua della mamma e tantissimo altro: un lavoro ciclopico di foto (anche con
Burri), documenti, racconti, aneddoti. Basta spoiler.

Il filo conduttore è la penna di
Sampaolo (anche lui si concede un po’ con qualche storia personale), uno che chi stende questo pezzo ha visto scrivere articoli con una vecchia Olivetti (nemmeno sua) senza metterci penna.
Stavolta ci dice, asciutto senza farci lezioni, perché il
Tigre occupi un posto così importante nella storia del
Perugia. Una maglia con la quale ha collezionato
175 presenze con
due gol, uno in
Serie A. Solo uno, ma considerato (a ragione) il
gol del secolo.

Una rete che - ironia della sorte della storia di una provinciale - non dà una vittoria. È un pareggio. Leggendario. Minuto
93, sotto la
Curva Nord, contro l’
Inter. Il
2-2 di testa del terzino: l’unica partita che il Grifo dell’imbattibilità ha rischiato di perdere. È il
4 febbraio 1979 e i fotografi avevano riposto le macchine a colori per avviarsi negli spogliatoi. Un gol, quello di
Cecco, in una sfida da atmosfera inglese, ad alta tensione emotiva col primo tempo dominato dalla Beneamata; rete che non ribalta il mondo ma lo tiene miracolosamente in piedi: in provincia funziona così.
Sono passati
dieci anni dalla morte di
Ceccarini e il fatto che quel gol continui a tornare alla memoria dice molto più di qualsiasi anniversario. Il segno che alcune figure - come la sua - non scoloriscono, perché non sono state costruite sull’enfasi, ma sulla sostanza.

È anche da questo corto circuito - un
gol eterno che vale “solo” un pari - che il cronista che quella squadra ha seguito e respirato, racconta il nostro
Tigre. Un soprannome che non è letteratura: Ceccarini non cercava la scena, stringeva i denti, marcava e spingeva. Soprattutto non usciva più dalla partita.
Ha lasciato in eredità
concentrazione,
forza d’animo,
generosità,
ostinato senso del dovere.
È entrato nella memoria dei tifosi per ciò che non faceva: niente scorciatoie, zero proclami. In una stagione irripetibile, come nelle altre in biancorosso, è stato uno di quelli che hanno garantito tenuta mentale e affidabilità.
Così era l’uomo. La voce della moglie, dicevamo, è decisiva: ricorda il primo incontro (e la prima cena fuori con
Romedio Scaia e signora), uno sguardo, una normalità mai tradita. Perché
Ceccarini, uomo fino in fondo, non ha mai separato il lavoro dalla vita privata. È stato sempre uguale a se stesso, anche lontano dai riflettori.
Grazia rivela che poteva andare al
Verona che poi vinse lo scudetto, a prendersi quello che aveva sfiorato a Perugia nel ‘79 e invece in estate scelsero
Foligno. Ma che fa?! Acqua passata (avevamo detto stop spoiler, però,). Ci sono poi i figli, nel libro. Non come concessione emotiva, ma come misura del tempo e peso del contenuto. Crescere accanto a un padre così significa ereditarne il metodo:
rispetto,
responsabilità,
sobrietà. Questo bagaglio urla ancora. Spiega perché
Ceccarini sia rimasto così profondamente nella memoria e nell’immaginario collettivo: non ha mai cercato di essere un simbolo, lo è diventato proprio per questo.

In definitiva il volume del nostro
Claudio Sampaolo non celebra. Fa qualcosa di più difficile: ordina il ricordo, mette a fuoco. Storicizza.
Racconta un gol in
9 contro 11 (
Vannini, un altro dei grandi finì quel giorno la carriera per un grave infortunio) che vale come una vittoria, un difensore che diventa coscienza collettiva, una famiglia che restituisce profondità all’icona.
Tigre è un libro che somiglia al suo protagonista: non alza la voce, non indulge, non forza l’epica.
Ceccarini resta anche se manca. E a dieci anni di distanza, restare è forse davvero, la forma più rara di vittoria. Non era “solo” un pari
Cecco, valeva molto di più.