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Perugia calcio

Antonio Ceccarini, il Tigre oltre il gol del secolo

La storica rete all’Inter al Curi (2-2), un ritratto intimo e professionale nel libro di Claudio Sampaolo. Una delle bandiere del Perugia raccontata in un volume che viene presentato sabato

Federico Sciurpa

11 Dicembre 2025, 11:56

Antonio Ceccarini, il Tigre oltre il gol del secolo

Antonio Ceccarini segna il gol del 2-2 del Perugia al Curi contro l'Inter nel campionato 1978-'79. E' considerato il gol del secolo (foto Belfiore)

Le bandiere esistono. Da sempre se ne agita una nel confine immortale della memoria del Grifo. Discreta e potente da scuotere ancora la fascia; veloce come il vento: quella di Antonio Ceccarini.
Il Cecco, Tonino come lo chiamavano a Sant’Angelo in Vado dove è nato (mai Tony): per tutti Tigre.

Il Tigre, meglio; ché ogni tifoso del Perugia - da quasi mezzo secolo - pronuncia solo al maschile. Quel nome d’arte (con gli anni non solo) glielo aveva imposto un cronista del Perugia dei miracoli, Claudio Sampaolo, che oggi sul Tigre ha scritto un libro. Viene presentato sabato (ore 11) alla Sala dei Notari. Nel cuore della città che, ricambiato, Ceccarini ha scelto e amato.
Il volume ha per titolo “Tigre - storia romantica di un terzino” (Morlacchi editore, prefazione di Brunello Cucinelli) ed è un libro di calcio, è per chi ha il Grifo nell’anima, ma è molto altro: la narrazione sentimentale – non melensa e nostalgica - di un’epoca.

Lo è perché Grazia Conti, una ragazza del Borgo (leggi Sansepolcro) diventata la signora Ceccarini, decide di fare un racconto intimo e bello di quel Cecco (non ancora Tigre) incrociato a Città di Castello e diventato l’uomo della sua vita. Il bel tenebroso con gli occhiali scuri, ben vestito e dal sorriso avaro che lei disprezzava un po’, tanto lo amava.
Una storia che inizia fra i trattori dei Ceccarini nella cittadina del tartufo e da Bocca Trabaria arriva a Città di Castello dove il giocatore strappa un contratto da 40 mila lire a Silvano Ramaccioni (lo aveva visto giocare a Pistrino). Anni dopo lo stesso diesse lo porterà al Grifo per 122 milioni.

Il triangolo valtiberino si chiude a Sansepolcro dove il futuro Tigre sposa Grazia: chiese la mano per lettera a lei e alla famiglia (giocava in Sicilia).
Nel libro ci sono le testimonianze dei figli perugini Matteo e Gaia, curate e vere alla stregua della mamma e tantissimo altro: un lavoro ciclopico di foto (anche con Burri), documenti, racconti, aneddoti. Basta spoiler.

Il filo conduttore è la penna di Sampaolo (anche lui si concede un po’ con qualche storia personale), uno che chi stende questo pezzo ha visto scrivere articoli con una vecchia Olivetti (nemmeno sua) senza metterci penna.
Stavolta ci dice, asciutto senza farci lezioni, perché il Tigre occupi un posto così importante nella storia del Perugia. Una maglia con la quale ha collezionato 175 presenze con due gol, uno in Serie A. Solo uno, ma considerato (a ragione) il gol del secolo.

Una rete che - ironia della sorte della storia di una provinciale - non dà una vittoria. È un pareggio. Leggendario. Minuto 93, sotto la Curva Nord, contro l’Inter. Il 2-2 di testa del terzino: l’unica partita che il Grifo dell’imbattibilità ha rischiato di perdere. È il 4 febbraio 1979 e i fotografi avevano riposto le macchine a colori per avviarsi negli spogliatoi. Un gol, quello di Cecco, in una sfida da atmosfera inglese, ad alta tensione emotiva col primo tempo dominato dalla Beneamata; rete che non ribalta il mondo ma lo tiene miracolosamente in piedi: in provincia funziona così.
Sono passati dieci anni dalla morte di Ceccarini e il fatto che quel gol continui a tornare alla memoria dice molto più di qualsiasi anniversario. Il segno che alcune figure - come la sua - non scoloriscono, perché non sono state costruite sull’enfasi, ma sulla sostanza.

È anche da questo corto circuito - un gol eterno che vale “solo” un pari - che il cronista che quella squadra ha seguito e respirato, racconta il nostro Tigre. Un soprannome che non è letteratura: Ceccarini non cercava la scena, stringeva i denti, marcava e spingeva. Soprattutto non usciva più dalla partita.
Ha lasciato in eredità concentrazione, forza d’animo, generosità, ostinato senso del dovere.
È entrato nella memoria dei tifosi per ciò che non faceva: niente scorciatoie, zero proclami. In una stagione irripetibile, come nelle altre in biancorosso, è stato uno di quelli che hanno garantito tenuta mentale e affidabilità.
Così era l’uomo. La voce della moglie, dicevamo, è decisiva: ricorda il primo incontro (e la prima cena fuori con Romedio Scaia e signora), uno sguardo, una normalità mai tradita. Perché Ceccarini, uomo fino in fondo, non ha mai separato il lavoro dalla vita privata. È stato sempre uguale a se stesso, anche lontano dai riflettori.

Grazia rivela che poteva andare al Verona che poi vinse lo scudetto, a prendersi quello che aveva sfiorato a Perugia nel ‘79 e invece in estate scelsero Foligno. Ma che fa?! Acqua passata (avevamo detto stop spoiler, però,). Ci sono poi i figli, nel libro. Non come concessione emotiva, ma come misura del tempo e peso del contenuto. Crescere accanto a un padre così significa ereditarne il metodo: rispetto, responsabilità, sobrietà. Questo bagaglio urla ancora. Spiega perché Ceccarini sia rimasto così profondamente nella memoria e nell’immaginario collettivo: non ha mai cercato di essere un simbolo, lo è diventato proprio per questo.

In definitiva il volume del nostro Claudio Sampaolo non celebra. Fa qualcosa di più difficile: ordina il ricordo, mette a fuoco. Storicizza.
Racconta un gol in 9 contro 11 ( Vannini, un altro dei grandi finì quel giorno la carriera per un grave infortunio) che vale come una vittoria, un difensore che diventa coscienza collettiva, una famiglia che restituisce profondità all’icona. Tigre è un libro che somiglia al suo protagonista: non alza la voce, non indulge, non forza l’epica. Ceccarini resta anche se manca. E a dieci anni di distanza, restare è forse davvero, la forma più rara di vittoria. Non era “solo” un pari Cecco, valeva molto di più.
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