Il ritorno del re: Jannik Sinner, la rivoluzione della normalità
La vittoria di Parigi e il numero 1 ritrovato nel ranking mondiale, non è un riscatto ma un compimento. È la conferma che la forza più grande, nel tennis come nella vita, è restare fedeli a se stessi. Senza clamori, senza maschere. Solo vincendo, e continuando a guardare avanti
Jannik Sinner, è tornato il numero 1 del tennis mondiale
Scusate l’anticipo: Jannik Sinner torna in cima al mondo. Dopo due mesi di regno di Carlos Alcaraz, il numero 1 torna italiano. Lo fa a modo suo: in silenzio, con la testa bassa e il tennis più pulito (e ancora migliorato) del circuito. Lo fa senza perdere un set a Parigi, un successo che doppia Vienna. Una vittoria che non è solo un trofeo da vertice del ranking Atp, è una dichiarazione di identità.
Aveva perso lo scettro, ha ritrovato se stesso. Jannik ha smesso di inseguire l’idea di perfezione, ha ricominciato a giocare.
Senza accontentarsi: senza fretta ma senza sosta. A Parigi ha demolito Zverev che non stava in piedi e Auger-Aliassime in finale, che invece c’è stato fin troppo sotto i colpi terrificanti da non concedere respiro. E’ bastato un break in apertura di primo set e la fredda gestione del tie break per tornare a mettere il mondo sotto i suoi piedi. Si è visto il Sinner dei momenti migliori: ritmo alto, prime vincenti, rovescio profondo e anticipo feroce.
Ma dietro la potenza c’è un cambiamento sottile: oggi serve meglio, legge i punti, varia di più. Sa quando aspettare e quando affondare. È maturità tecnica e tattica prima ancora che mentale. E un trionfo così, su un campo lento, lentissimo, quasi una terra rossa (Alcaraz ci è rimasto stritolato), vale il doppio. C’è infatti adesso Torino dove è vero che Sinner avrà molto da perdere, ma dove la pallina, per i suoi traccianti, camminerà molto di più. Il dato di fondo è comunque questo del trono ritrovato. Un trono che pesa più del primo.
Perché arriva dopo la caduta, dopo la stanchezza, dopo i mesi in cui la macchina sembrava essersi fermata. C’è chi ha cominciato a nicchiare e perfino a scendere dal carro dove era montato in fretta. E’ la vita, fa parte del gioco; succede. Sinner ha attraversato tutto in silenzio, senza alibi. Ha continuato ad allenarsi, ad aggiustare il corpo e la mente. È tornato a vincere partendo dal gioco di base: servizio, risposta, solidità. Tutto più semplice, tutto più lucido. Il suo tennis oggi è un linguaggio essenziale. Non è più solo esplosione e potenza, ma equilibrio. Danza. Sinner ha imparato a controllare la velocità, a usare il silenzio come arma. Lo vediamo sempre come un antieroe (anche ieri nelle interviste) che in un circuito di esaltazione di gesto e immagine, porta la sua normalità.
È diventata rivoluzionaria. Sinner, il numero 1, non cerca la scena, cerca la sostanza. E proprio per questo, paradossalmente, finisce sempre per riportarlo protagonista assoluto, non pronosticato. Il ritorno di re Jannik non è un riscatto, in questa chiave ci appare più come una maturazione, un compimento. È la conferma che la forza più grande, nel tennis come nella vita, è restare fedeli a se stessi. Senza clamori, senza maschere. Solo vincendo, e continuando a guardare avanti. Bentornato Jannik.
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