Calcio Amarcord
Mario Colautti sulla panchina del Perugia
La serie C sulla panchina del Perugia lui l’ha vinta. In realtà era la serie C2, annata 1987-88, però quella promozione è ancor oggi ricordata con un’emozione speciale da parte di chi l’ha vissuta, perché venne ottenuta attraverso l’esplosione di alcuni giovanissimi talenti destinati poi a salire le scale del calcio che conta, in alcuni casi fino alla Nazionale.
Mario Colautti il prossimo 26 agosto di anni ne farà 81, ma il suo ricordo di quella squadra è ancora vivissimo, ed anzi può anche essere portato come esempio se si vuole ragionare sulle caratteristiche che deve avere un gruppo vincente nel calcio. Anche al di là degli aspetti tecnici.
- Colautti, l’87-88 fu veramente una stagione memorabile per lei e per il Perugia…
Vincemmo il campionato e lanciai quelli che all’epoca erano poco più che ragazzini e che poi fecero delle carriere straordinarie. Penso a Ravanelli e Di Livio, finiti in Nazionale, ma anche i vari Bia, Pagliari, Lo Garzo, con Manfrin a portare esperienza.
- Quali i suoi ricordi?
Fu un’annata strepitosa perché quella era una squadra di uomini veri, prima ancora che di ottimi giocatori. Seguirono tutti le mie indicazioni e i miei consigli, per tutti loro ero un punto di riferimento, anche considerando che la gran parte erano giovanissimi. Ottenemmo grandi risultati anche divertendoci, e questo penso la dica lunga su che tipo di gruppo fosse.
- Pensava che i Ravanelli, piuttosto che i Di Livio, sarebbero potuti arrivare addirittura alla maglia azzurra e a vincere le massime competizione internazionali con la maglia della Juventus?
Sicuramente, avevo parlato con Trapattoni e gli avevo consigliato di prendere entrambi, che erano giovani di grande futuro che avrebbero sicuramente potuto far bene. Mi diede retta, non mi ero sbagliato. Con la Juventus ho avuto sempre un buon rapporto, ricordo anni prima anche un colloquio con Boniperti e ci mancò poco che non potessi finire a indossare quella maglia. Comunque quel campionato lo vincemmo grazie alla squadra nel suo insieme, cioè anche con i Nofri, i Bettinelli, i Manfrin che avevo portato per fare da chioccia e dare un po’ di esperienza a tanti giovani. Fu una cavalcata meravigliosa.
- E’ rimasto in contatto con alcuni di loro?
Come no, abbiamo un gruppo che abbiamo chiamato “Il Perugia dei record” e ci sentiamo ancora, è una cosa bellissima. In occasione dell’ultima ricorrenza (i 120 anni dalla fondazione della società ndr) non sono voluto mancare, anche se non stavo tanto bene, ed è stato molto bello vedere quanto affetto ancora ci leghi. Segno che, come dicevo, era un gruppo di veri uomini, prima che giocatori. In altri spogliatoi qualche problemino l’ho dovuto affrontare, quel Perugia invece era veramente una famiglia. Il presidente era Ghirga, sempre con l’appoggio del cavaliere (Ghini ndr) che mi aveva voluto fortemente: ancora gli sono riconoscente.
- Oggi il calcio è cambiato completamente, si fa fatica a trovare dei riferimenti anche in città. Basti pensare che la proprietà del Perugia è argentina.
Dei miei tempi è rimasto solo… il pubblico. Ora è cambiato veramente tutto. Se segue il Perugia di oggi? Sono sincero, il calcio di oggi non mi appassiona più di tanto, anche se sono stato contento, ovviamente, che alla fine abbia ottenuto la salvezza.
- Secondo la sua esperienza, come si può costruire un gruppo vincente come il suo?
Innanzitutto bisogna puntare sui giovani ma avendo una rete di osservatori che ti segnala gli elementi giusti, quelli che possono veramente avere un futuro, avendo la bravura di anticipare gli altri e portarseli a casa. Non ha senso prendere i giovani tanto per prenderli, mi pare che ultimamente ci sia stata molta improvvisazione nel Perugia, da questo punto di vista. Ricordo che anch’io personalmente andavo in giro a seguire i tornei giovanili. Quando vidi quel ragazzino che giocava nella Nocerina, ovvero Di Livio, dissi subito ad Aggradi: “Piero, questo dobbiamo portarlo a Perugia assolutamente”. E così facemmo.
- Dall’alto delle sue 80 primavere, con una bella carriera da calciatore prima e da allenatore poi alle spalle, che giudizio dà sul calcio di oggi?
Troppi interessi, tutta ruota intorno ai soldi, si sono persi completamente alcuni valori su cui si costruivano le fortune di una squadra o di una società. Basti pensare adesso che si va a giocare in chissà quale parte del mondo e in chissà quali periodi della stagione, come questo Mondiale per Club. Ora, poi, sono arrivati questi arabi che offrono delle cifre assurde e falsano il mercato.
- Se Colautti avesse giocato o allenato adesso chissà… che conto in banca!
Ah, può starne certo (dice ridendo ndr). Bisogna essere anche fortunati nella vita, ai miei tempi i guadagni non erano certo quelli di oggi. Ma credo comunque di essere stato ugualmente fortunato nella mia vita di calciatore e di allenatore. Avere avuto la possibilità di vivere una stagione vincente come quella che abbiamo ricordato di quel Perugia, ad esempio, la considero ancora oggi veramente una fortuna.
*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy