ASSISI
Nella sala San Francesco del palazzo arcivescovile di Perugia, giovedì, la presentazione del volume “La PerugiAssisi – Quando la pace si fa storia” ha visto una partecipazione significativa.
Esattamente ciò che occorre quando si parla di pace.
Non è stato un evento formale, né il solito rito celebrativo. È stato - parole di Flavio Lotti - “un esercizio di cittadinanza”, come esattamente è partecipare alla marcia.
Dentro questa frase si concentra l’intero senso dell’incontro e della storia raccontata.
Quei 24 chilometri che collegano Perugia ad Assisi e che vengono percorsi ogni due anni da chi partecipa alla marcia per la pace non sono un semplice tracciato geografico, ma un patrimonio morale, una scrittura civile impressa sull’Umbria e da qui proiettata al mondo.
Un archivio vivente, non un’impronta sbiadita. Un percorso che va riconosciuto, protetto e trasformato in itinerario storico della pace. E Lotti lo ha detto con chiarezza: è giunto il momento di “costruire una comunità che valorizzi questa storia per continuarne e avviarne una nuova”.
Costruire. Non evocare, non ricordare. Costruire.
E giovedì sera, ripercorrendo i 64 anni di storia della marcia ideata da Aldo Capitini, si è respirato proprio questo: non memoria come reliquia, ma memoria come compito.
Non celebrazione, ma continuità.
Una sala piena che ha ascoltato, discusso, riflettuto. Perché se la storia della marcia rimane solo nelle pagine, finisce in archivio. Se invece torna nei passi, torna nel presente.
Anzi - come ha sottolineato Giuseppe Giulietti - “proprio il nuovo libro di Lotti, ripercorrendo il passato, diventa un inno al futuro”, o meglio ne traccia il futuro perché la marcia PerugiAssisi non è una serie di episodi, ma una traiettoria che ha sempre guardato il mondo e le sue emergenze in anticipo.
Lo ha fatto intuendo la crisi dell’Onu che sarebbe esplosa decenni dopo. E lo ha fatto in molte altre occasioni, come quando ha acceso i fari su Gaza prima ancora che esplodesse il dramma degli ultimi anni.
Parole, quelle di Giulietti, che indicano un’evidenza: 64 anni di cammino dimostrano che finché c’è chi percorre quella strada, la pace non è un concetto astratto, ma un destino praticabile. E un libro come quello presentato a Perugia serve proprio a questo: inchiodare la memoria al dovere. Far comprendere che la pace non è spontaneità né fatalismo, ma metodo, responsabilità, lavoro quotidiano. Non un evento, ma un cammino. Un cammino che merita di vedere il suo percorso riconosciuto come un bene della regione. Anzi, dell’umanità.
Giulietti ha lanciato la proposta di candidare il tracciato a patrimonio culturale immateriale riconosciuto dall’Unesco.
Una proposta lodevole che, come giornale del territorio, auspichiamo trovi immediato sostegno nelle istituzioni umbre e non solo. Soprattutto da tutte le forze politiche. Perché la pace è sì politica, ma non è partitismo.
La pace non è né di destra né di sinistra: è un bene indivisibile, un valore universale, un diritto umano fondativo. E l’Umbria questo lo sa, perché non è terra di pace per slogan turistico, ma per biografia, spiritualità e responsabilità.
Sala piena, dunque, non per guardare indietro, ma per capire che il percorso può e deve continuare. E la domanda che ora dovrebbe posarsi su ciascuno non è retorica ma concreta: siamo ancora disposti a camminare?
Finché la risposta, anche sommessa, resterà sì, questi 24 chilometri non saranno un ricordo. Saranno futuro. Un futuro che ha basi solide perché dall’Umbria - fin da tempi remoti - è partito un messaggio profetico: la pace si costruisce prima, non dopo le guerre.
Non tra le rovine, ma prima che le rovine arrivino.
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