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FINE VITA

La libertà di Laura Santi e la nostra coscienza

Sergio Casagrande

07 Giugno 2025, 10:30

La libertà di Laura Santi e la nostra coscienza

Laura Santi

C’è chi pensa che la libertà sia potersi muovere, scegliere un lavoro, cambiare Paese, amare chi si vuole. E poi c’è chi, come Laura Santi, ha dovuto lottare per ottenere una libertà più elementare e insieme più devastante: quella di poter dire basta. O, forse, ancora più semplicemente, quella di poter dire: adesso decido io. Laura non ha mai detto di voler morire. Ha detto – e con voce limpida, sincera – che ama la vita. Ma che il suo corpo non la ama più. E che ogni giorno si trasforma in un campo di battaglia tra una mente lucida, piena di pensieri, e un corpo che la tradisce senza tregua.

Non vuole spegnersi: vuole smettere di soffrire. Perché le sue giornate, ormai da troppo tempo, non sono altro che un lento countdown verso un orizzonte che non promette più nulla se non ulteriore dolore. E, dentro questo abisso, ha chiesto la cosa più difficile di tutte: essere ascoltata, essere creduta. Essere libera.

Per questo, ora, alla notizia che l’Asl Umbria 1 ha finalmente comunicato a Laura le modalità con cui potrà accedere legalmente al suicidio assistito, non si può che rispondere con un sospiro lungo, profondo, umano. È l’inizio della fine di un calvario procedurale – burocratico prima ancora che fisico – che ha trasformato la sua legittima richiesta in una battaglia di civiltà. No, non sto dicendo che la morte sia una conquista. Per nessuno. Per me, che credo nella vita anche quando fa male, la morte - almeno fin tanto saranno queste le mie condizioni generali - non sarà mai una scelta, ma un evento che arriva e che si affronta. Tuttavia, ciò che oggi celebriamo non è la fine. È il principio: quello del riconoscimento, da parte dello Stato, che ognuno ha il diritto di decidere della propria esistenza quando l’esistenza si è trasformata in una trappola.

Laura non dovrà più guardare alla Svizzera come all’unica via. Non dovrà affidarsi a organizzazioni estere o elemosinare compassione fuori dai confini. Potrà restare nella sua terra, tra i suoi affetti, con la dignità che merita. Con la libertà – l’ultima, forse – di scegliere il proprio destino. Chi oggi si scandalizza, chi si trincera dietro dogmi e moralismi, dimentica che Laura non ha chiesto di essere aiutata a morire. Ha chiesto, semmai, di non essere costretta a vivere un dolore che non ha più nulla di umano. E ha chiesto che quella scelta fosse sua, non nostra. È una conquista che non celebra la morte, ma esalta la libertà. Una libertà che, come avevo già scritto in passato, non posso permettermi di giudicare. Perché nessuno di noi è nella sua pelle. Nessuno sente, come lei, il rumore quotidiano di una gabbia che si stringe.

Nessuno, tranne lei, sa quanto pesa ogni secondo trascorso in un corpo che chiede pietà. A Laura va il nostro rispetto. E anche il nostro silenzio, se serve. Ma, soprattutto, va il nostro grazie. Perché, con la sua battaglia, ha ricordato a tutti noi una verità troppo spesso dimenticata: non si può difendere la vita togliendo la libertà a chi non ha più niente da vivere. E oggi, per la prima volta da tempo, Laura è di nuovo padrona di se stessa. E questo, sì, è un passo avanti. Un passo, finalmente, umano.

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