VATICANO
Robert Francis Prevost, papa Leone XIV
Trovarsi a Roma in uno di quei giorni più unici che rari, in cui viene eletto un nuovo Papa, è un’esperienza che ti rimane indelebile nei ricordi per tutta la vita.
Ore 17. Piazza San Pietro.
La folla che si accinge a entrare nella piazza è tanta. E dopo esserci già stato la mattina, ci torno come un infiltrato.
Non ho con me il pass stampa e, per accelerare i tempi d’ingresso, mi nascondo in mezzo ai pellegrini brasiliani scalzi, confuso tra bandiere, rosari e telefonini sollevati al cielo come offerte tecnologiche. Loro hanno la precedenza, perché sono come in processione dietro una croce gigantesca. E per questo possono percorrere viale della Conciliazione in una corsia preferenziale.
Certo, io vestito da pinguino - perché dovevo partecipare a un red carpet in un altro luogo di Roma - non pensavo di passare inosservato. Ma nel caos generale, è diventato possibile.
Mi sono messo in mezzo al gruppo recitando anch’io parole in latino miste a frasi incomprensibili. Per fortuna era un gruppo di pellegrini penitenti scalzi sì, ma non di quelli che si danno anche le frustate.
Ho solo un’idea fissa: vedere il fumo. Quello bianco. Perché già dal mattino, tra i giornalisti, circolava insistentemente la voce che la fumata bianca sarebbe stata imminente. “Oggi pomeriggio, quindi, si decide. Ormai lo sa anche il gabbiano appollaiato vicino al comignolo”, avevo scherzato all’ora dell’aperitivo, incontrando proprio in piazza San Pietro il nostro Guido Barlozzetti.
In verità, non ci credevo. Ma qualcosa di strano, in effetti, ieri a Roma c’era.
Quando riconquisto un posto in piedi in piazza San Pietro, mi ritrovo sotto la postazione delle tv straniere, con la loggia principale proprio di fronte.
La vista è perfetta. L’aria è densa, non di pioggia, ma di attesa. È una tensione che non si taglia con il coltello, ma con l’Ave Maria.
Il comignolo si vede in lontananza, sottile come un capello… anzi: sottile e corto come un pelo di barba.
C’è gente che canta, gente che prega, gente che già si commuove per qualcosa che ancora non è accaduto.
E poi, alle 18.10, all’improvviso, succede.
Fumo. Bianco.
La piazza esplode. Non è un urlo: è un’eruzione.
Boato da stadio, onde umane di giubilo e cori che rimbalzano sulle colonne del Bernini.
Il nuovo Papa è stato eletto. Non si sa ancora chi sia, ma chi se ne importa: il solo fatto che ci sia è già una vittoria. Un Papa, finalmente. Uno qualunque, purché sia. Purché esista di nuovo.
Dicono che la Chiesa, negli ultimi decenni, sia in crisi. Ma guardare l’esercito che riesce a raccogliere in questi giorni ti fa stentare a crederci.
Le campane, intanto, suonano a festa e fanno tremare i cuori.
Un’ora dopo - che sembra un secolo - si apre la loggia. Il camerlengo, con la solennità di chi sa di avere il mondo in attesa, pronuncia il nome:
Leone XIV.
Il nuovo Papa ha scelto di chiamarsi così. E qui cambia tutto. O forse no.
Il solco tracciato da Bergoglio si chiude? O si allunga? Sarà una linea retta, senza curve brusche? O ci sarà una sterzata?
La folla è in delirio, ma è comunque dubbiosa. L’annuncio è accolto con felicità, ma l’entusiasmo non galoppa più di tanto. Qualcuno esclama anche un “no” prolungato.
Ma chi è costui? Un innovatore o un conservatore? Mi chiede subito una collega della Rai che mi ritrovo a fianco nella calca. “Non lo chiedere a me. Io ho solo indovinato il nome in anticipo e ancora non me capacito... Di più non sono in grado di dire...”. Tra la folla, che ora aspetta che sulla loggia compaia il nuovo erede di San Pietro, c’è fame di futuro, di pace, di parole nuove. Sul tavolo del nuovo pontificato ci sono le spine del mondo: le guerre che non finiscono, le disuguaglianze che aumentano, i populismi che ringhiano.
Nessuno sa se Leone XIV sarà l’uomo giusto. Ma tutti, per un attimo, vogliono crederlo.
E questa è già la prima grande vittoria della Chiesa: non aver scelto un Papa, ma aver ridato al mondo la voglia di aspettarlo. Di crederci. Di sperare.
La seconda arriva quando Leone XIV pronuncia le sue prime parole, in italiano, e comincia a ripetere più volte la parola pace.
È in questo momento che la piazza si infiamma davvero.
Ora tocca a lui. A Leone XIV.
Per tutti è già il Papa della speranza.
Per giudicarlo è troppo presto.
Certo, il nome fa temere ai più - anche se lui ha voluto subito ricordare con calore la figura di Papa Francesco - che la rotta che potrebbe percorrere il nuovo pontificato non sia perfettamente in linea con quella tracciata dal predecessore.
Proprio per questo, il 29 aprile scorso avevo ipotizzato il nome di Leone XIV. Ma la mia era solo una citazione figurativa da contrapporre a un ipotetico Francesco II, per sintetizzare il bivio di fronte al quale si trovava la Chiesa: proseguire come Bergoglio, innovatore e progressista, o tornare a Gioacchino Pecci, tradizionalista e custode di dogmi e discipline.
Chissà...
Comunque, Robert Francis Prevost è Leone XIV.
E nel nome, un qualcosa di Francesco, almeno, intanto, lo ha.
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