VERSO IL CONCLAVE
La Chiesa cattolica è una di quelle navi mastodontiche che, per cambiare rotta, ha bisogno di secoli più che di anni. E ora, mentre a Roma si preparano a chiudersi dietro le porte della Cappella Sistina, il mondo attende con il fiato sospeso un conclave che si annuncia come uno spartiacque: continuerà il lento tragitto di aggiornamento tracciato da Papa Francesco, oppure si tornerà ad ancorare saldamente la barca di Pietro alle coste sicure della tradizione più rigida?
Il bivio - lo abbiamo già sottolineato nei giorni scorsi - è chiaro: un Francesco II, pronto a portare avanti il cantiere aperto da Jorge Mario Bergoglio, oppure un Leone XIV che, come Gioacchino Pecci, sia custode intransigente di dogmi e discipline, in stile restaurazione vecchia maniera.
Francesco, che ora riposa dopo aver scardinato, con tatto, certe corazze secolari, non ha mai preteso rivoluzioni da prima serata. Ha preferito, invece, operare piccoli spostamenti tettonici, consentendo ad esempio un’apertura di fatto ai divorziati risposati e mostrando una certa mano tesa verso le coppie omosessuali. Tutto senza riscrivere i testi sacri, certo, ma cambiando - eccome - il tono della musica suonata dall’orchestra vaticana. Non è stato certo, insomma, un Che Guevara in tonaca: ha limato, ammorbidito, sorriso. Non ha cambiato i dogmi, ma ha cambiato il modo di presentarli. E così, mentre Benedetto XVI era il rottweiler della dottrina, Francesco è stato il cane pastore che ha portato dentro anche le pecore smarrite, senza domandare il certificato di buona condotta.
La sua è stata, davvero, una rivoluzione silenziosa: ha messo all’angolo i fondamentalisti senza mai sfidarli apertamente sul ring. Sull’aborto non ha ceduto di un millimetro, ma ha costruito una narrativa più inclusiva, più umana, più difficile da attaccare anche per i falchi tradizionalisti. Insomma, Francesco ha capito una cosa che tanti sembravano ignorare: i fedeli non si contano solo nei banchi delle chiese d’Europa, sempre più vuoti, ma anche nelle piazze vive di Africa, Asia e America Latina. E adesso? Ora tocca ai cardinali scegliere: vorranno un altro costruttore di ponti, magari quel Francesco II che continui ad abbassare i muri senza buttarli giù a martellate, oppure quel Leone XIV, che parli di giustizia sociale ma intinga la penna in un inchiostro conservatore per scrivere su matrimonio, famiglia, e ruolo della donna?
Non illudiamoci: il prossimo Papa non sarà, comunque, un incendiario. La prudenza, in Vaticano, è più sacra del vino consacrato. Ma il segnale che verrà dal conclave sarà chiaro come una campana di San Pietro: apertura o restaurazione.
Chi spera che le innovazioni di Francesco vengano archiviate come errori di gioventù rischia di restare deluso. E chi sogna un’ulteriore primavera dovrà incrociare le dita: perché nella Chiesa, si sa, il tempo non scorre a velocità terrestre, ma celeste.
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