Attualità
A forza di fare i conti con le chimere, finisce che ci si dimentica dei numeri veri. E quelli, si sa, non mentono. Lo fanno magari i sogni, i proclami, le campagne elettorali. Ma i numeri, no. E i numeri che arrivano dall’Istat, snocciolati con la freddezza che si riserva ai bollettini di guerra, raccontano, ormai senza pietà, che l’Umbria non cresce. Anzi: l’Umbria si svuota.
Altro che traguardo del milione di abitanti - ipotizzato da qualcuno in tempi di vacche grasse e nascite in aumento e riproposto in seguito da chi confidava negli arrivi degli immigrati - come raggiunto proprio attorno all’anno 2025 .
Oggi la realtà è ben diversa: siamo tornati sotto quota 860 mila residenti, quando all’inizio di questo millennio sembrava fossimo in corsa per sfondare il muro dei 900 mila. E non è una semplice battuta d’arresto: è un’inversione a U, di quelle che fanno stridere le gomme.
In 10 anni, abbiamo perso 40 mila residenti facendo un balzo indietro fino ai residenti di 20 anni fa. Lo scrive l’Agenzia umbra ricerche che ha elaborato i dati pubblicati dall’Istat, mica il solito profeta di sventura: è come se fossero scomparsi in un colpo solo Città di Castello e Pietralunga, frazioni, case sparse e campanili compresi. Un’intera fetta di territorio che si dissolve nel nulla, come un effetto speciale mal riuscito.
E, mentre gli abitanti calano, gli anni aumentano. Sì, perché l’Umbria non solo si svuota, ma invecchia. La popolazione attiva è sempre più magra, quella anziana sempre più robusta. Non è un mistero che l’aspettativa di vita sia aumentata – ed è un’ottima notizia, intendiamoci – ma è altrettanto vero che questa longevità rischia di diventare un peso insostenibile, se non accompagnata da una nuova visione sociale e sanitaria.
Il paradosso è servito: viviamo di più, ma non sappiamo come gestirlo. E allora eccoci lì, a pianificare servizi che saranno già vecchi prima di vedere la luce. A immaginare ospedali, concentrati ma in parte diffusi, quando servirebbero invece molte cure domiciliari, maggiore prevenzione, supporti ambientali, riabilitazione direttamente nei paesi. Perché non ci vuole un premio Nobel per capire che un anziano che vive a Poggiodomo ha bisogni diversi da uno che sta a Milano. E che se lo lasci da solo, non è che smette di invecchiare. Muore. E con lui muore anche il paese.
Il problema non è solo umbro – certo – ma l’Umbria è una regione dove il declino demografico rischia di mordere con più forza e rapidità. Perché è una regione fragile, fatta di poche città e di tanti borghi, di colline, montagne e vallate, di paesi - come molti di quelli della Valnerina - aggrappati alla speranza che qualcosa cambi. Ma se nulla cambia, questi borghi diventano cimiteri di pietra, belli da cartolina e vuoti come una promessa elettorale dopo lo spoglio. E allora la domanda è semplice: ne siamo davvero consapevoli? Sappiamo che la sfida demografica non è una questione per statistici con gli occhiali spessi, ma una battaglia per la sopravvivenza della nostra identità? Dei nostri luoghi? Dei nostri figli – se ancora decidono di restare?
Perché se non lo capiamo ora, tra qualche anno non ci sarà più bisogno di numeri, grafici o previsioni. Basterà fare un giro tra le strade deserte dei nostri paesi, ascoltare il silenzio delle scuole chiuse e vedere: gli ambulatori spenti; le edicole, le banche e gli uffici postali chiusi; le vecchie insegne di bar diventanti luoghi di fantasmi. E a quel punto, la partita sarà persa.
Ma tranquilli: saremo tutti più longevi per goderci lo spettacolo.
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