POLITICA E SOCIETA'
Durante un suo intervento al Senato, la parlamentare Laura Maiorino (M5S), rivolgendosi alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’ha definita, con tono critico, “la cheerleader del presidente Trump”. Da quella frase si è accesa una polemica, prima in Aula e poi sui social. Molti l’hanno interpretata come un’offesa (e forse nelle intenzioni lo era). Le cheerleader, nell’immaginario comune, rimandano ai cliché delle gonnelline e degli ammiccamenti, ma in realtà si tratta di una disciplina durissima e spettacolare, come mostrano le immagini dei campionati internazionali.
Cheerleading: dalla politica alla polemica
Nell’aula del Senato della Repubblica si è innescata una polemica sul modo in cui la senatrice Laura Maiorino (M5S) ha appellato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: “Anche oggi l’abbiamo dovuta vedere nelle vesti di cheerleader del presidente di un altro Paese, invece che mantenere la schiena dritta e fare la capo del governo dell’Italia”. Immediata la reazione della maggioranza e, a seguire, le polemiche e gli animati scambi di opinioni sui social: un rincorrersi di letture e accuse sull’utilizzo di un termine che, secondo alcuni, sarebbe espressione di frivolezza; per altri, offensivo, denigratorio se non addirittura sessista. Tra colpevoli e offesi, dov’è la verità? Il cheerleading è davvero quell’immagine patinata che ci hanno mostrato telefilm come Happy Days o Beverly Hills, 90210, che dipingevano le atlete come ballerine che incitavano la propria squadra del cuore, strizzando l’occhio al pubblico maschile? Oppure c’è dell’altro, come le testimonianze raccontate nella docuserie Cheer, andata in onda su Netflix nel 2020? Qui abbiamo visto sportive che praticano una disciplina sofisticata e agonisticamente rigorosa.
Origini e sviluppo
Dunque: cos’è il cheerleading? Per capire meglio, può venirci in aiuto la storia, tornando al 2 novembre 1898, quando uno studente americano, Johnny Campbell dell’University of Minnesota, scese in campo per incitare il pubblico a tifare per la sua squadra. Fu dunque un uomo a inventarlo e furono uomini quelli che consolidarono questa disciplina portandola nei campus e nei palazzetti, trasformandola da semplice tifoseria in uno sport tanto spettacolare quanto esigente, fatto di piramidi e acrobazie. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e con i primi segnali di emancipazione femminile, il testimone passò alle donne. Oggi nel mondo le atlete e gli atleti che praticano questa disciplina sono circa 3,5 milioni, di cui 1,5 milioni negli Stati Uniti, dove il cheerleading è parte integrante della tradizione sportiva nelle scuole e nei college. In molti istituti può offrire l’opportunità di borse di merito.
In tutto il mondo esistono associazioni, squadre, competizioni nazionali e internazionali come The Cheerleading Worlds, il cui accesso è estremamente selettivo e ancor più arduo è raggiungere il podio, perché tutto si gioca in 180 secondi di esibizione, dove per vincere non bisogna sbagliare davvero nulla, questa tensione incarna la spettacolarità di una disciplina che sembra rendere semplice ciò che non lo è.
Acrobazie
La squadra è composta da tre figure: la flyer, la base, la spotter.
Durante una routine, le flyer, cioè le atlete più leggere e agili, quelle che “volano”, vengono sollevate o lanciate in aria dalle basi, le compagne che ne sorreggono la struttura e garantiscono la stabilità del gruppo. Accanto a loro ci sono le spotter, che supervisionano la sicurezza, pronte a intervenire per attutire una caduta o stabilizzare un movimento.
In un basket toss (un lancio a mani incrociate), le flyer posso arrivare fino a cinque o sei metri d’altezza, volteggiare, eseguire salti mortali o rotazioni in aria, per poi atterrare sul palmo di una mano di una delle basi o addirittura restare in equilibrio in verticale.
La “schiena dritta” è cruciale nella figura del liberty, nella quale la flyer, sollevata su una sola gamba dalle sue basi, mantiene una postura eretta e le braccia tese verso l’alto: un gesto di forza, equilibrio e controllo che rappresenta perfettamente lo spirito del cheerleading. Eppure, nonostante la tensione, la fatica e il rischio di errore, le atlete devono continuare a sorridere: non per scelta estetica, ma per una regola tecnica. Nel cheerleading, infatti, il sorriso fa parte della performance e influisce sul punteggio finale.
Il cheerleading è una disciplina capace di lasciare a bocca aperta gli spettatori.
E, tornando alla domanda iniziale (dov’è la verità?), forse la risposta è, semplicemente, nei fatti: accostare il cheerleading a un’immagine femminile distorta significa inciampare in un antico errore che associa la donna al concetto di apparenza.
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