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Il ricordo

Maurizio Marsili: "Così intervistai Diego Maradona a Trevi". Il racconto del nostro ex collaboratore

El Pibe de oro venne intercettato durante il ritiro del Napoli per la partita di Coppa Italia a Perugia del 1984

Giulia Silvestri

02 Luglio 2025, 18:20

Maurizio Marsili: "Così intervistai Diego Maradona a Trevi". Il racconto del nostro ex collaboratore

Maurizio Marsili è riuscito a intervistare Diego Armando Maradona assieme al nostro direttore Sergio Casagrande

Il ricordo di quella giornata è ancora vivo. Custodito gelosamente come la copia del Corriere dell’Umbria del 29 agosto 1984 che testimonia l’impresa. Solo così può essere definito quello che riuscì a mettere a segno il folignate Maurizio Marsili, in quel pomeriggio di agosto a Trevi dove, insieme al nostro direttore di oggi, Sergio Casagrande, non solo incontrò Diego Armando Maradona, ma riuscì anche a strappare una piccola intervista al Pibe de oro.

- Maurizio, cosa ricordi di quel giorno?
Quella mattina ero passato in redazione, che all’epoca era ancora in corso Cavour (a Foligno, ndr). Si era appena appreso che nel pomeriggio il Napoli, atteso in Umbria per una partita di Coppa Italia col Perugia, avrebbe soggiornato a Trevi, all’Hotel della Torre. C’era l’alta probabilità che ci fosse Maradona e con lui speravamo anche due ex calciatori del Perugia: Dal Fiume e Bagni. Decidemmo di provare a intervistarli. Eravamo io, Sergio Casagrande e Maurizio Muccini, tutti e tre ancora ragazzi e con tanta voglia di fare i giornalisti, e partimmo con la mia macchina, una Diane 6 color avana. Stampammo la scritta Corriere dell’Umbria su un foglio A3 che attaccammo al vetro dell’auto per poter varcare il cordone delle forze dell’ordine. Così raggiungemmo l’hotel. All’arrivo del pullman del Napoli, quando scese Maradona sono partito con la faccia tosta, spiazzando tutti, nonostante sia timido, e sono corso verso di lui, gli ho messo una mano sulla spalla e ho iniziato a parlarci, chiedendogli “allora, com’è questa partita?”. Speravo che qualcuno mi avrebbe fatto una foto per immortalare quel momento, che avrei conservato negli annali.
- Sei partito con la sfrontatezza propria un po’ della gioventù, quel pizzico di coraggio che serviva?
Sì, l’incoscienza. Anche perché lì fuori c’erano tutti i giornalisti delle testate dell’epoca, e una folla di curiosi perché “Dio” soggiornava all'Hotel della Torre. Ed era un’impresa all’epoca, non era da tutti parlare con Maradona, ma noi ci siamo riusciti. L’ho preso sottobraccio con il registratore in mano e gli ho fatto due domande.
- Come fu l’incontro con il Pibe de oro?
Abbiamo camminato per una ventina di metri. Ricordo come era vestito: indossava un paio di calzoncini corti, una t-shirt mi sembra con il logo del Napoli, e un paio di infradito. E ricordo che per tutto il tempo, mentre camminavo con lui a braccetto, non ho fatto altro che guardare attentamente a terra perché avevo paura di calpestargli i piedi. Pensavo “Se glieli pesto è finita!”. Ho percorso quei venti metri con questa angoscia (ride, ndr). Ricordo perfettamente quella sensazione.

- Maradona, quindi, si lasciò intervistare. Come fu nei tuoi confronti?
Molto gentile e cortese. Non so se fu perché mi vide giovane e volle darmi una chance. In più non era scontato perché in quel periodo il Napoli era in silenzio stampa, e invece lui parlò e rispose alle mie domande, generiche ovviamente. Ma fu molto disponibile, per dirla alla folignate “non se la tirava”. Anzi, aveva con sé due borsoni che con Sergio Casagrande abbiamo aiutato a portare in albergo. Sergio gli spiegò che eravamo del Corriere dell’Umbria e che volevamo fargli delle domande, e lui rispose: “Lo Corriere del’Ombria? Cómo no! Cierto!”. Riuscimmo anche a entrare nell’hotel perché la sicurezza non ci fermò: eravamo due ragazzetti e sembravamo essere insieme a lui. Mi ricordo che avemmo subito la sensazione di aver fatto una grande cosa, soprattutto perché nessun altro giornalista era riuscito ad avvicinarlo. Avevamo fatto il colpo. Lì forse sarebbe potuta iniziare una mia carriera da giornalista, anziché da ferroviere (ride, ndr).
- E una volta fatta l’intervista?
Decidemmo di portare tutto il materiale alla sede del Corriere, a Perugia. Risalimmo a bordo della Diane e partimmo. Io guidavo. Sergio invece era seduto sul sedile posteriore con la macchina da scrivere sulle ginocchia e insieme, a caldo, buttammo giù il pezzo lungo il tragitto. A ogni curva partiva il carrello della macchina da scrivere e Sergio doveva ricominciare da capo. Che ricordi!
- Il colpaccio non valse l’apertura, ma finì di taglio in pagina, come si dice in gergo giornalistico… La redazione non credette fino in fondo alla realtà del servizio?
Sì. L’articolo invece di aprire la pagina finì di taglio. Eravamo ancora molto giovani e qualcuno a Perugia stentò a credere al reale colpo che avevamo messo a segno. Invece quella breve intervista l’avevamo fatta davvero.
El Pibe de oro aveva parlato con noi nonostante il silenzio stampa! Ricordo che eravamo davvero contenti e soddisfatti perché eravamo stati gli unici e avevamo bruciato tutti gli altri. E oggi posso dire non solo “di aver visto Maradona”, come recita una famosa canzone, ma anche di averlo intervistato.
Quando negli anni seguenti lo raccontavo, le persone stentavano a crederci, ma l’articolo pubblicato sul Corriere resta una testimonianza indelebile. E pensare che ho anche rischiato di calpestargli i piedi...
- Per te non è stata la prima esperienza giornalistica però in quel periodo, era già vicino al Corriere dell’Umbria. Una passione giovanile? Come iniziò?
Esatto. Io mi sono avvicinato al Corriere perché nella redazione di Foligno avevo degli amici, come Maurizio Muccini, e ho iniziato a collaborare chiedendo se potevo dare una mano. Facevo piccole cose, come articoli sulla sagra della Fregnaccia di Borroni, però era divertente. E allora da ragazzo vedere un articolo scritto da te pubblicato era una grande soddisfazione. Ho iniziato nell’83, l’anno dopo aver concluso il servizio al Genio Ferrovieri. Dopo questa parentesi al Corriere, è iniziato il percorso lavorativo nelle Ferrovie dello Stato. Sono entrato nel 1984 e vi ho lavorato fino al 2019 quando sono andato in pensione, prima come aiuto macchinista e poi come macchinista. Un lavoro di grande responsabilità perché viaggi a 160 km all'ora con 2.000 persone che si affidano a te, ma allo stesso tempo bello perché ogni giorno ti svegli in una città diversa e giri tutta Italia. Mi ha dato molte soddisfazioni.


- Sei stato anche molto attivo in ambito sindacale, ed è stato segretario regionale dell’Orsa fino al 2013. Cosa ricordi di quell’esperienza?
L'Orsa era nata dalla fusione di due sindacati, di cui uno era il famoso Co.Mu. (Coordinamento Macchinisti uniti, ndr), che riuniva solo macchinisti, una qualifica che voleva dire avere il coltello dalla parte del manico, perché se ci fossimo fermati noi, si sarebbe bloccato tutto. E mi ricordo che al primo sciopero che facemmo, l’adesione, fonte Trenitalia, fu del 98 per cento. Fu una bella esperienza fatta di belle lotte e che insegna molto, soprattutto a trattare; la trattativa è tutto.
- Tra le passioni anche quelle per la Quintana, e in particolare per il rione Badia.
Una passione 50ennale. Iniziai come tamburino per il Cassero, poi partii per fare il militare e quando sono tornato mi sono avvicinato al Badia. Al tempo c’erano le radio libere, e a Foligno c'era una radio che se la batteva con Radio Subasio, si chiamava Teleradio Verde. Quando tornai la frequentavo, facevo lo speaker, e siccome tutti gli amici della Radio erano al Badia iniziai a frequentarlo. Mi sono appassionato e sono rimasto. Erano gli anni Settanta. E infatti, come dicevo sempre guardando i Palii conservati nella sede rionale, io li ho vissuti tutti
- Una vittoria che porti nel cuore?
Sicuramente la doppietta di Fabio Cruciani su Veronica nel 1983. Ricordo la grande festa durata ventiquattrore, con un pentolone gigante di fagioli e cotiche e chiunque entrava e mangiava. E poi l’ultima, quella di Lorenzo Melosso nel 2022. Ma non è stata da meno quella di Sergio Villa nel ’75. Erano altri tempi, si correva (una tornata, ndr) a un minuto e mezzo.
- E oggi?
Oggi sono a un nuovo step della vita, e come mi definisco sono felicemente pensionato.

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