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L'intervista

Dal Clitunno al Maggio Musicale: l’arte visionaria di Daniele Menghini conquista la scena lirica

Der Junge Lord: il viaggio artistico del regista umbro tra intimità, satira e debutti storici.

01 Agosto 2025, 19:46

Il regista

Daniele Menghini

Dalle silenziose e poetiche Fonti del Clitunno fino alle luci del prestigioso palcoscenico del Maggio Musicale Fiorentino: il percorso artistico di Daniele Menghini sembra riflettere quella stessa tensione tra intimità e grandiosità che anima le sue regie. Con la sua messa in scena di Der Junge Lord di Hans Werner Henze, Menghini ha firmato uno degli allestimenti più sorprendenti e innovativi della scena lirica italiana.


Der Junge Lord trae ispirazione da una novella fantastica di Wilhelm Hauff (La scimmia come uomo) e mette in scena, con spirito satirico e feroce, l’arrivo in una piccola città della provincia tedesca del misterioso e silenzioso nobile inglese Sir Edgar. Con lui giunge un seguito di bizzarri personaggi, tra cui spicca il giovane Lord Barrat, che subito attira su di sé le attenzioni della comunità, in particolare di Luise, giovane borghese combattuta tra sentimento e ambizione. L’intera cittadinanza, inebriata dalla promessa di un avanzamento sociale e culturale, si piega in modo grottesco alle apparenze, tentando in ogni modo di compiacere il nuovo arrivato. Ma il colpo di scena finale rivela la crudele beffa: Barrat non è un nobile rampollo, bensì una scimmia ammaestrata, camuffata da gentiluomo. Il sogno di elevazione si dissolve, lasciando dietro di sé solo il vuoto del ridicolo e il tragico abisso dell’umiliazione.
Il debutto al Maggio Musicale segna una tappa fondamentale nella carriera del regista umbro, già noto in ambito teatrale per il suo linguaggio visionario e per la capacità di fondere drammaturgia, movimento scenico in una sintesi multiespressiva e ad alta valenza simbolica. Il suo Der Junge Lord, prima rappresentazione italiana in lingua originale della celebre opera di Henze, ha conquistato pubblico e critica per l’intensità visiva e la profonda coerenza drammaturgica e narrativa.
Vivere e lavorare in Umbria, non lontano dalle Fonti del Clitunno, non è una scelta casuale per Menghini. È proprio in questa dimensione sospesa tra natura, storia e poesia che il regista trova momento motivazionale ed energie intellettuali per elaborare i progetti e realizzare le forme visibili che danno attualizzazione al significato della musica.


E in merito alla regia di un’opera tanto complessa e rara come Der Junge Lord per il Maggio afferma: “Un debutto è sempre una grande emozione. La prima volta al Maggio Musicale Fiorentino e la prima volta alle prese con il genio di Hans Werner Henze, come se non bastasse per la prima italiana in lingua originale di uno dei suoi capolavori. Il debutto delle prime volte, insomma. E delle grandi sfide. Aprire uno spartito come Der Junge Lord significa affacciarsi sull’ignoto, brivido raro nell’abitudine del repertorio operistico. Con un’opera praticamente mai rappresentata non sai quale scena viene dopo, dove piangerà il protagonista, se muore o si salva. Non è Bohème per intenderci. Lo scopri pagina dopo pagina”.
- Hai scelto di vivere presso le Fonti del Clitunno, il cuore poetico della nostra regione. In che modo questo luogo influisce sul tuo lavoro creativo?
Amo l’Umbria. È la mia terra. È casa. Dopo gli anni milanesi della Paolo Grassi ho preferito gli ulivi ai tram. In Umbria c’è un ritmo dilatato che ti permette di avvertire il tempo che passa, senza venire divorati dalle ore. Puoi pensare, puoi respirare. È un lusso che mi sono voluto concedere. Ascoltare Verdi o Mozart col Clitunno che scorre in sottofondo non ha prezzo. Puoi chiudere gli occhi e immaginare. Impagabile”.


Der Junge Lord è un’opera scritta nel 1964, ambientata nel 1830. Due epoche che stanno facendo ancora i conti con lo strascico di due terremoti che hanno scosso le fondamenta dell’Europa moderna: la Guerra Mondiale da una parte e la Rivoluzione Francese dall’altra. Due bombe atomiche che hanno rimesso in discussione profondamente strutture sociali e valoriali ormai consolidate e che ci hanno fatto scoprire di essere attanagliati sempre dalle stesse paure: paura del diverso, del nuovo, del non allineato. Non ne usciamo. Siamo sempre lì. Oggi più che mai. Siamo ancora a parlare di muri, confini, deportazioni. Quest’opera ci mette in mutande e ci chiede quanto siamo davvero disposti a sacrificare della nostra natura per apparire meno bestiali di quanto non siamo in realtà. Uno scanner cinico e impietoso della nostre ipocrisie. Se non è contemporaneo questo, cosa lo è?”.
E su i progetti futuri conclude: “A novembre debuttiamo al Teatro Sociale di Como con I Puritani di Bellini. Opera difficile ma dal grande fascino. Con il mio team stiamo aprendo diversi cantieri sul 2026 e 2027, si muovono tante cose. Tutte belle. Il sogno di lavorare in Umbria c’è sempre. Spoleto è nel cuore”.

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