Dietro la vittoria
Jannik Sinner, la determinazione dopo la vittoria su Cerundolo (LaPresse)
Jannik Sinner sorride poco, vince tanto e zoppica. Ma questo, i titoli non lo dicono. Tutti celebrano i quarti di finale raggiunti a Roma, il pubblico in delirio, la nuova icona nazionale del tennis. Ma c'è qualcosa che non torna: un dettaglio che sfugge ai flash ma non agli occhi attenti. Sinner ha male ai piedi , letteralmente. Non per metafora.
Le vesciche. Piccole, invisibili, devastanti. A Roma sono tornate a tormentarlo. Una maledizione da scarpa stretta , si direbbe con leggerezza. Ma qui c'è in ballo una stagione intera che riparte dopo uno stop. Un piede compromesso non ti fa solo giocare male: ti logora psicologicamente, ti azzoppa la mente prima ancora che il corpo.
Non è la prima volta: già a Montecarlo, e prima ancora durante la scorsa stagione, Sinner aveva dovuto gestire lo stesso problema, con ritiri improvvisi e performance limitate. Ma ogni volta ha scelto di tornare in campo solo quando davvero pronto, senza clamore.
Sinner ha già saltato match importanti per questo motivo. Ma non lo grida, non lo usa come scusa. Si limita a fermarsi, parlare poco e tornare quando può. Il problema è che adesso si gioca in casa, davanti al Colosseo e sotto una lente d'ingrandimento patriottica.
Dopo i trionfi in serie che lo hanno portato al numero uno della classifica Atp e tale è tornato dopo 3 mesi forzati di stop, l'Italia ha deciso che Jannik Sinner è il figlio prediletto, il predestinato. Ma nessuno sembra pronto a vederne la fragilità. Il fisico asciutto, il volto da monaco e il talento chirurgico hanno generato un'immagine perfetta. Ma ogni mito chiede un sacrificio. E qui il prezzo potrebbe essere troppo alto, troppo presto. Roma in fondo, per Sinner, non è solo un torneo. È una prova di resistenza pubblica. Mentre gioca, deve anche dimostrare di stare bene. Di essere sereno. Di non sentire dolore. Perché ogni smorfia, ogni tocco al piede, ogni gesto fuori luogo viene amplificato, ingrandito, monetizzato.
Il pubblico lo ama, certo. Ma anche lo consuma. Sinner così non piange. Non fa polemica. Non cerca nemici. La sua è una resistenza muta, che urla solo quando colpisce la palla. Ed è qui che il tennis diventa qualcosa di più: una forma di sopravvivenza psicologica.
Non si sta giocando solo una partita. Si sta cercando di tenere insieme il corpo e l’identità pubblica di un ragazzo di 22 anni che, sotto la maglietta bagnata di sudore, porta il peso di un Paese intero.
E se oggi applaudiamo ogni punto, forse dovremmo anche imparare a guardare cosa succede tra uno scambio e l’altro. Lì, dove i piedi bruciano e il corpo chiede tregua, nasce il vero campione. Quello che nessuna telecamera riesce a raccontare davvero.
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