Attualità
Liliana da bambina insieme al padre Alberto negli anni '30
L'ultimo straziante saluto tra Liliana Segre e il padre Alberto. Un momento cruciale della vita della donna, oggi senatrice a vita della Repubblica italiana, e al centro del documentario intitolato Liliana, stasera in tv sabato 26 aprile su Rai 3. L'attivista, politica e superstite dell'Olocausto è nata a Milano il 10 settembre da una famiglia di ascendenza ebraica. E' vissuta e cresciuta con il padre Alberto e i nonni paterni Giuseppe (malato di Parkinson) e Olga Loevvy. La madre, Lucia Foligno, morì quando Liliana aveva solo 1 anno. Ebbe la consapevolezza delle sue origini ebree all'età di 8 anni con le leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali venne espulsa dalla scuola che frequentava.
Papà Alberto la nascose da degli amici, utilizzando documenti falsi, quando la persecuzione degli ebrei italiani era sempre più feroce. Provò a fuggire insieme al padre il 7 dicembre 1943 a Lugano, in Svizzera. Tuttavia furono respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, Liliana venne arrestata insieme al padre a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all'età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove giunse dopo 7 giorni di viaggio. Venne subito separata dal padre. Fu l'ultima volta che lo vide. Morì il 27 aprile 1944. Anche i suoi nonni paterni persero la vita, ad Auschwitz il 30 giugno 1944. Lei fu liberata dall'Armata Rossa il 1° maggio 1945 dal campo di concentramento di Malchow.
"E' il momento, più importante di tutti". Ne ha parlato così Liliana Segre, lo scorso febbraio al Memoriale della Shoah a Milano. Scoprì solo dopo la liberazione nel 1945, di essere l'unica sopravvissuta della famiglia paterna. Struggente è il ricordo di Liliana di quell'ultimo periodo passato insieme al padre: "quello che mio papà e io ci siamo dati reciprocamente nel breve tempo vissuto insieme mi è bastato, mi è rimasto per tutta la vita e il suo ricordo è riuscito perfino a salvarmi da un'infinità di situazioni di autentica disperazione. Eravamo noi due in quella cella. Ho vissuto momenti di felicità nel carcere di San Vittore perché ero con lui".
"Quando ci siamo lasciati io e mio padre, non pensavo fosse per sempre. Pensavo dividessero gli uomini e le donne come sempre ci è successo nelle carceri di Como e di Varese. Si formarono due file. Una era quella di coloro che andarono sul camion e che seppi poi finirono dritti al forno crematorio, perché quello era il genocidio, che si applicava con grande precisione. Io lo vedevo che si allontanava il mio papà ecercavo diessere quella che lui avrebbe voluto che io fossi in quel momento, cioè sorridente".
*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy