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Da sx: Rino Gaetano, Mina, James Hetfield dei Metallica e Cristina Scabbia dei Lacuna Coil
La musica ha una capacità straordinaria: può rinascere, cambiare pelle, trovare nuova vita nelle mani di chi la reinterpreta. Non sempre l’originale riesce a far breccia nell'immaginario collettivo: certe cover hanno quel qualcosa in più – emozione, freschezza, un’intuizione diversa – che le rende non solo memorabili, ma spesso superiori. Ecco alcune storie di cover che hanno fatto proprio questo, dimostrando che la qualità nasce dal saper prendere una canzone facendola brillare di luce propria.
Pensate a un Riccardo Cocciante immerso nel romanticismo della sua ballata del 1978: un pezzo tenero, levigato, pieno di sentimento. Rino Gaetano, con la sua caratteristica voce rauca e la sua indole che non si piega alle convenzioni, lo fa totalmente suo.
Nel 1981, per il mini-LP Q Concert – uscito dopo la sua morte – lo strappa via dagli eccessi e lo rende nudo: una chitarra, un’intimità disarmante, una confessione che ti prende dentro. Non è più solo amore, è fragilità e verità. È una cover che respira autenticità, con una profondità che l’originale, seppur bella, non aveva.
C’era una volta un brano soul firmato Gloria Jones: allegro, ritmato, ma passato quasi inosservato. I Soft Cell, duo synth-pop con un gusto per il dramma, lo scoprirono e nel 1981 lo rifecero a modo loro. Via l’energia spensierata, dentro un sound elettronico cupo e la voce di Marc Almond che trasuda un amore andato a male.
È un cambio totale: da un ritmo incalzante a un lamento quasi ossessivo che definisce gli anni ’80. Primo in UK, diventa una hit mondiale, eclissando l’originale non solo in fama, ma anche in impatto. Qui la qualità sta nel reinventare, nel dare al brano un’anima più oscura e universale.
Chi non ricorda la dolcezza vellutata dei Commodores? Lionel Richie aveva scritto una ballata soul che era puro calore. Poi, nel 1992, i Faith No More decidono di giocarci sopra. Nonostante la band di Mike Patton sia nota per le sonorità aggressive, la loro Easy è perfettamente coerente con l'originale.
Se non fosse già un'impresa riuscire a sembrare così credibili con un genere distante dalle loro corde come il soft-rock, i Faith No More portano il brano negli anni '90, senza snaturarlo e facendo saggio delle loro straordinarie capacità. La loro cover si proietterà in cima alle classifiche, al primo posto in Australia e in Top 10 in UK.
Gli Afterhours, maestri dell’alt-rock italiano, avevano tirato fuori un brano crudo, un pugno di emozioni sporche e sincere. Mina, con la sua voce che quasi trascende l’umano, lo scopre nel 1997 e lo porta in una dimensione ulteriore. Per l'album Leggera lo trasforma in un’esplosione potente, elegante, che prende l’angoscia dell’originale e la rende maestosa, universale.
Non è solo una questione di volume: è la capacità di dare al pezzo una raffinatezza e una forza che gli Afterhours non avevano cercato. Una cover che non si limita a interpretare, ma che eleva tutto a un livello differente. È anche un caso peculiare poiché Mina decide, sapientemente, di cambiare anche il titolo del pezzo.
Provate ad ascoltare gli Ednaswap: un grido grunge, intenso, ma chiuso in un angolo di nicchia. Natalie Imbruglia lo trova e, nel 1997, gli cambia pelle, tramutandolo in un inno pop che si pianta in testa. La sua Torn è vulnerabile, semplice, con una melodia che chiunque può cantare. Ha preso il caos emotivo e l’ha reso accessibile senza perdere un grammo di cuore.
Prima ovunque e nomination ai Grammy, la cover dell’artista britannica ha totalmente eclissato l’originale, non perché fosse migliore in assoluto, ma perché l’ha resa più vicina a tutti. Tant'è che questo brano definisce i canoni stilistici su cui si baseranno tutti i più grandi successi del pop degli anni 2000.
Torniamo agli anni ’70 con i The Guess Who: un rock ruvido, graffiante e contro il sistema. Lenny Kravitz lo riprende nel 1999 per il soundtrack del film Austin Powers - La spia che ci provava e ci aggiunge il suo tocco inconfondibile: un groove funky, sensuale, con quel mix di soul e rock che lo caratterizza. La rabbia diventa seduzione, il suono si ammorbidisce ma guadagna energia.
Non è una rivoluzione, ma una rilettura che funziona – garantendogli anche un Grammy – perché sa rendere il brano più fresco, più attuale. Kravitz dimostra che una cover può brillare quando sa guardare al passato con occhi nuovi.
I Thin Lizzy avevano preso una melodia folk irlandese e l’avevano trasformata in un rock da pub, allegro e trascinante. Nel 1998 i Metallica ci mettono le mani per la compilation Garage Inc. e la fanno esplodere: riff pesanti, la solita voce di James Hetfield che ringhia e un’energia travolgente.
Non è più una storia leggera, ma un viaggio epico che unisce tradizione e potenza metal. Grammy in tasca, sesto posto nelle classifiche rock: è una versione che prende l’originale e la spinge oltre, con una forza che i Thin Lizzy, pur bravissimi, non avevano immaginato.
Il celebre synth-pop dei Depeche Mode: un capolavoro cupo, misurato, che sussurra malinconia. I Lacuna Coil, nel 2006, lo stravolgono, portandolo nel loro universo gothic-metal per l'album Karmacode. Le due voci dei Lacuna Coil, Cristina Scabbia e Andrea Ferro, tessono una ipnotica tela di melodie: la prima, eterea e incantevole, viene magistralmente sostenuta dalla seconda, profonda e decisa.
La loro versione arricchisce l'originale, donandole delle sfumature inedite. Il silenzio celebrato da Dave Gahan si fa più forte e intenso. Un prodigioso esempio di come la qualità risieda nel coraggio di cambiare.
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