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Cronaca

Laura uccisa, marito accusato di omicidio volontario ma non ci fu premeditazione

La Procura della Repubblica chiude le indagini sul femminicidio di Spoleto

20 Novembre 2025, 08:59

Chi era Laura Papadia, uccisa dal marito: 36 anni, vicedirettrice di un supermercato. Le colleghe: "Una ragazza in gamba e professionale"

Laura Papadia uccisa a soli 37 anni lo scorso 26 marzo

Chiuse le indagini a carico di Nicola Gianluca Romita, il 48enne che lo scorso 26 marzo a Spoleto ha strangolato la moglie Laura Papadia, 36 anni, nell’appartamento di via Porta Fuga nel cuore del centro storico di Spoleto. All’indagato, che durante l’interrogatorio di garanzia ha reso una confessione durata circa cinque ore, la Procura di Spoleto contesta l’omicidio volontario aggravato dal legame coniugale, ma non dalla premeditazione, su cui si è lavorato a lungo. Il femminicidio di Papadia, che in città era arrivata circa tre anni fa per assumere l’incarico di vicedirettrice di un supermercato, è avvenuto per gli inquirenti al culmine di una lite di coppia, con Romita, questa la ricostruzione, che avrebbe strangolato la moglie stringendole le mani intorno al collo e anche utilizzando un indumento della stessa Papadia.

Sulle cause all’origine della lite sfociata in femminicidio la mattina del 26 marzo era stato lo stesso Romita a riferire di discussioni in famiglia anche legate al desiderio di Papadia di avere un figlio che lui invece non voleva, avendone già avuti da precedenti relazioni. Le colleghe e le persone a cui la 36enne era più legata hanno raccontato di una relazione coniugale resa instabile anche dal continuo andirivieni di Romita, che spesso si assentava da Spoleto, dove invece la moglie viveva stabilmente. La ricostruzione di Romita durante le indagini è sempre stata considerata incompleta dagli inquirenti, mentre una serie di elementi hanno alimentato per settimane la pista del femminicidio premeditato, come alcune somme di denaro trovate nelle disponibilità di Romita, ma anche una conversazione che lo stesso aveva avuto col figlio in cui aveva parlato della possibilità di lasciare l’Italia, oltre a un periodo di ferie che il 48enne aveva richiesto al datore di lavoro, ma a cui poi aveva rinunciato nei giorni precedenti del delitto. In questo quadro, per settimane si è cercato l’iPhone di Romita che è stato rinvenuto soltanto tre mesi dopo il delitto nell’area ai piedi del Ponte delle Torri, da dove lo stesso 48enne lo aveva lanciato mentre minacciava il suicidio.

Tuttavia, dall’analisi del dispositivo gli elementi emersi non sono evidentemente stati sufficienti a convincere il procuratore capo Claudio Cicchella e il sostituto procuratore Alessandro Tana a contestare anche l’aggravante della premeditazione. Con l’avviso di conclusione indagini, che precede la richiesta di rinvio a giudizio, sono state anche individuate come parti offese il padre di Papadia, Maurizio, e i due fratelli, Fabio e Alessandro, oltre all'associazione "Per Marta e per tutte". Come di prassi ora la difesa, rappresentata dagli avvocati Luca Maori e Luca Valigi, ha 20 giorni di tempo per presentare memorie difensive, far sottoporre a interrogatorio Romita o chiedere l'accesso a programmi di giustizia ripartiva.

 

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