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Cronaca

L'ex procuratore di Perugia, Cardella, e le due indagini sulla scomparsa di Adinolfi: "Non trovammo nulla. Un covo della Magliana sotto la Casa del Jazz? Potrebbe contenere di tutto"

Intervista al magistrato che coordinò le operazioni negli anni Novanta: "Se dovessero emergere cose importanti sarei il primo a esserne felice"

Gabriele Burini

16 Novembre 2025, 09:00

L'ex procuratore di Perugia, Cardella, e le due indagini sulla scomparsa di Adinolfi: "Non trovammo nulla. Un covo della Magliana sotto la Casa del Jazz? Ci potrebbe essere di tutto"

A sinistra l'ex procuratore di Perugia, Fausto Cardella. A destra il giudice Paolo Adinolfi

Gli scavi nel complesso della Casa del Jazz, a Roma, portano dritti fino a Perugia. Sì, perché le operazioni in corso da giovedì in via Cristoforo Colombo per cercare i resti del giudice Paolo Adinolfi, in quella che fu la casa di Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana (personaggio che ha ispirato la figura del Secco in Romanzo Criminale), partono da lontano, dal cuore dell’Umbria, nel 1994. Ad indagare sul caso della scomparsa del magistrato, avvenuta il 2 luglio 1994, fu infatti Fausto Cardella, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Perugia e poi reggente da settembre 1995, competente a indagare sulle toghe romane.

- Procuratore Cardella, Otello Lupacchioni (magistrato che per anni indagò sulla Banda della Magliana) ha detto al Corriere della Sera che da Perugia si rinunciò a scavare perché “non vi erano certezze e in quel periodo si celebrava un processo fondamentale, quello per l’omicidio Pecorelli, e il timore di un fallimento ebbe il sopravvento”. Andò così?
Direi di no. Le indagini sulla scomparsa di Adinolfi hanno avuto due fasi. Nella prima, subito dopo la sua sparizione, furono fatti accertamenti con la squadra mobile di Roma e con altre forze di polizia. Si chiusero con un’archiviazione perché c’erano degli indizi che portavano a una scomparsa volontaria, ma anche elementi indiziari che questa scomparsa non fosse volontaria, ovvero il mancato ritrovamento del cadavere. In una fase di stallo si fece quella che, in gergo, chiamiamo archiviazione aperta. Ma dopo un paio d’anni la procura di Perugia tornò al lavoro.

- Come mai?
Ci fu una nuova notizia di reato, che ci indusse a riaprire le indagini. Io preferii non continuare personalmente, perché mi ero già pronunciato. Le indagini vennero fatte dal dottor Cannevale, che affidò a uno speleologo l’esplorazione dello stesso luogo in cui si sta scavando oggi. Lui effettuò un sopralluogo con la Dia e la squadra mobile di Roma e concluse che non c’erano né tracce di cadaveri, né tracce di accessi umani recenti. Per cui si fermarono davanti a un cumulo di terra. Casualmente in quel periodo Nicoletti fu attenzionato da noi nel quadro di altre inchieste che riguardavano magistrati romani. Mi è stato ricordato, di recente, che lui ebbe a dire con qualcuno degli investigatori: “Vi è piaciuta casa mia? Però il cadavere non lo avete ritrovato”. Insomma, noi ci siamo andati in quel luogo di Nicoletti. Poi se oggi con i nuovi accertamenti emergeranno cose importanti sarei il primo a esserne felice. Per me è rimasto un nodo irrisolto.

- Crede si possa trovare qualcosa sotto alla Casa del Jazz?
Se è veramente un deposito della Magliana si può trovare di tutto. Ma un conto è la possibilità che ci sia qualcosa, un altro la ragionevolezza, soprattutto a quel tempo. La situazione all’epoca era questa: c’erano tre elementi di sicura volontarietà come il posteggio della macchina, le chiavi lasciate nel quadro, qualcuno che lo aveva visto nell’autobus e nient’altro. L’elemento che andava contro la volontarietà era il fatto che il corpo non era stato ritrovato. Ma di fatto non avevamo nulla, per cui sia la prima che la seconda volta, con sfumature diverse, dovemmo concludere con un’archiviazione.

- Lei conosceva il giudice Adinolfi?
Io non l’ho mai incontrato. Dopo la scomparsa presi i contatti con la moglie, i figli all’epoca erano piccoli e li ho rivisti di recente. Io ho appreso che fosse un eccellente magistrato dalle carte e dagli studi fatti sulla sua vita per cercare di trovare il bandolo a questa misteriosa scomparsa.

- Ma aveva scoperto qualcosa che alla Magliana non piaceva?
E’ un discorso sfuggente. Per quel che ricordo, lui aveva intravisto una determinata situazione come giudice fallimentare, poi fu trasferito e venne presa una decisione diversa su quel procedimento. La moglie mi raccontò che lui si arrabbiò moltissimo, e da qui la sua volontà di approfondire. Ma un giudice delegato ai fallimenti non è che abbia accesso a notizie riservate, esclusive. Quello che c’è è nelle carte, può essere un problema di lettura, ma non era depositario di segreti. Erano tutti elementi che messi insieme hanno portato a fermarci. E anche oggi non è che ci siano novità, se non che andando lì grazie a questa intuizione si possa trovare un deposito della Magliana che potrebbe nascondere di tutto, da Emanuela Orlandi in giù.

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