Attualità
“Quando alle 17, 58 minuti e 48 secondi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la scorta del Quarto Savona 15 (Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani) saltarono in aria lungo l’autostrada A29, all’altezza di Capaci, nessuno ebbe dubbi che era stata la mafia. Ma perché il giudice Falcone? Cosa aveva fatto Falcone?” A chiederlo è stato Fausto Cardella, magistrato ed ex procuratore generale della Repubblica, nel corso dell’evento commemorativo organizzato per il quinto anno dall’Associazione Clizia, in collaborazione con la Rai Umbria e la Fondazione Falcone a Palazzo Cesaroni. Cardella la domanda l’ha rivolta soprattutto ai tanti studenti del liceo musicale Mariotti e del liceo artistico Bernardino di Betto che hanno affollato al massimo della capienza la sala Brugnoli, insieme ai massimi rappresentanti delle istituzioni civili e militari. Relatori d’eccellenza del convegno, moderato da Luca Ginetto caporedattore della Tgr Umbria: Francesco Zito, prefetto di Perugia, Fausto Cardella, Sergio Sottani, procuratore generale della Repubblica, Dario Sallustio, questore di Perugia, Sarah Bistocchi, presidente dell’Assemblea legislativa regionale e il vicesindaco Marco Pierini.
“Le indagini di mafia - ha proseguito Cardella - si possono dividere in un prima e dopo Falcone, perché lui ha rivoluzionato il modo di affrontare la mafia sia dal punto di vista investigativo che processuale. Possiamo riassumere il suo metodo in tre parole: coordinamento dal di dentro, legalità e garantismo. E per capire questo concetto si deve fare un passo indietro, al 1877 quando il prefetto di Palermo Antonio Malusardi scrisse al Procuratore generale di Palermo dicendo di voler attivare delle indagini per vedere se i fatti criminosi che avvenivano nella città avessero una regia comune. Si è dovuto attendere un secolo per riuscire a trovare una risposta, a partire da Rocco Chinnici che, non a caso, è saltato in aria anche lui come Falcone. Dal di dentro perché se prima le indagini si fondavano esclusivamente sulle confidenze raccolte dalla polizia giudiziaria e su testimonianze occasionali, con Falcone e soprattutto con la testimonianza di Tommaso Buscetta, primo grande pentito della storia, le cose sono cambiate. Non ho la presunzione di dire che sia stata solo questa la causa precisa della morte di Falcone e poi dopo 57 giorni quella di Borsellino, però sono convinto che è stato un elemento determinante”. E ha concluso ricordando agli studenti che a Quantico, nella sede dell’Accademia dell’Fbi, è presente un busto in bronzo di Falcone come esempio per le reclute e per i futuri generali di legalità e rispetto.
Come confermato prima da Luca Ginetto nella sua introduzione e poi dal direttore della sede Rai Umbria Giovanni Parapini, la Rai nella giornata del 33mo anniversario della strage ha dedicato a quel fatto delittuoso un’intera giornata di programmazione, a cominciare dalla presentazione del nuovissimo Museo del presente dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, aperto a Palermo, con testimonianze, documenti, fotografie e oggetti compresa la macchina dove hanno trovato la morte Falcone, la moglie e la scorta. E a proposito di testimonianze, molto particolare quella di Sarah Bistocchi, che ai tempi dell’attentato aveva 10 anni e giocava ancora con le Barbie: “Ricordo soprattutto la faccia di mio padre davanti al televisore, era sconvolto, mia madre è rimasta immobile con i piatti in mano. Ho capito nella mia innocenza che era successo qualcosa di grave. Ed ho capito anche che la gente e la politica su quel fatto non si si è divisa”. E ha poi aggiunto: “La cultura della legalità fa parte dei nostri valori fondativi, della Costituzione, dobbiamo portarla avanti insieme. Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio e una fine. Diceva anche che la mafia si può vincere impegnando in questa battaglia tutte le forze delle istituzioni”.
Nel corso della celebrazione le parole di Falcone, a cominciare da “Le persone passano, le idee restano”, hanno segnato diversi passaggi importanti dei vari interventi, ma è stato Marco Pierini a ricordare il seguito importante di quella frase che aggiunge vigore al suo pensiero, ovvero “…e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini”. “Questo il suo grande insegnamento, vale a dire sulle gambe di tutti noi. Falcone era convinto che la mafia si vince, perché attecchisce solo dove c’è un humus disposto ad accoglierla”.
Sergio Sottani nel suo intervento, tra l’altro, ha tenuto a sottolineare come, fino all’arrivo di Falcone la mafia nelle aule di giustizia non esisteva, venivano fatte tante assoluzioni perché le prove a loro carico non si volevano trovare. Ma dal dal ’69 in poi le cose sono cambiate e sono stati uccisi tanti magistrati ma anche avvocati, sacerdoti e giornalisti. E ha chiesto ai ragazzi: “Secondo voi oggi un mafioso come è vestito? Ha i baffi? La coppola? La lupara in spalla? No, la mafia si veste come me”.
Stesso concetto ripreso da Francesco Zito e da Dario Sallustio perché oggi il mafioso ha titoli di studio importanti, mette a disposizione dell’organizzazione la propria preparazione, le proprie competenze. “Ecco perché io penso che anche la politica e non solo il potere economico, abbia le sue responsabilità - ha precisato Sallustio - Il terreno sul quale la mafia si muove è fondamentale. Ognuno di noi ha dei doveri nei confronti della società se si vuole combattere il fenomeno mafioso”. E Zito: “Le mafie di oggi sono capaci di investire sul territorio e portare formalmente ricchezza, almeno all’inizio, per poi trasformarla. Inoltre non è più localizzata solo al sud. Per contrastarla si procede al commissariamento del Comune di un paese o di una città quando ci si rende conto che è infiltrato. Ormai sono anni che questi scioglimenti di consigli comunali avvengono anche in Piemonte, in Lombardia, in Emilia Romagna. La mafia è diventata più subdola e soprattutto si nutre di silenzio.”
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