IL CASO
Il delitto di Garlasco è stato uno dei casi di cronaca che ha avuto più eco mediatico in Italia. L'omicidio di Chiara Poggi verrà raccontato nella prima serata di giovedì 21 novembre, alle 21.20, con il terzo episodio di Delitti in famiglia, serie di documentari condotto e narrato da Stefano Nazzi, giornalista tra i più celebri e autorevoli autori di podcast di cronaca nera. Ma quale è la storia del delitto di Garlasco?
Tutto è iniziato il 13 agosto 2007, quando il corpo di Chiara Poggi, una giovane impiegata di 26 anni, fu trovato senza vita nella sua abitazione a Garlasco, in provincia di Pavia. L'omicidio ha suscitato un intenso interesse mediatico, non solo per la brutalità del crimine, ma anche per le numerose incongruenze emerse durante le indagini e i processi che ne sono seguiti. Poggi fu colpita ripetutamente alla testa con un oggetto contundente, probabilmente un martello, mentre si trovava sola in casa.
I suoi genitori e il fratello erano in vacanza, e Chiara aveva aperto la porta a qualcuno che conosceva, come suggeriscono gli inquirenti, poiché non ci furono segni di effrazione. A scoprire il corpo fu il fidanzato Alberto Stasi, che si era recato a casa di Chiara dopo aver tentato invano di contattarla telefonicamente. La chiamata al 118 da parte di Stasi ha sollevato immediatamente sospetti: il suo tono appariva freddo e distaccato, e le sue scarpe risultarono inspiegabilmente pulite nonostante il sangue presente nella casa.
La contorta vicenda giudiziaria
Il caso ha visto un susseguirsi di processi e perizie. Inizialmente assolto in primo grado, Stasi venne condannato definitivamente dalla Corte Suprema di Cassazione nel 2015 a 16 anni di reclusione. Tuttavia, la sua difesa ha sempre sostenuto la sua innocenza, presentando richieste di revisione del processo che sono state rigettate.
Durante le indagini emersero elementi controversi: tracce di dna compatibili con quello di Chiara furono trovate su una bicicletta appartenente a Stasi, ma la difesa sostenne che potessero essere dovute a sudore o saliva. Il delitto ha anche messo in luce altre anomalie investigative. Diversi testimoni presenti a Garlasco quel giorno non furono adeguatamente interrogati e molte piste furono trascurate. Tra queste vi era una traccia di sangue trovata in un cassetto chiuso della casa, suggerendo che l'assassino potesse essere tornato successivamente sulla scena del crimine.
Il processo a Stasi
L'unico indagato per l'omicidio è il fidanzato Alberto Stasi, che viene assolto dall'accusa con rito abbreviato, sia in primo sia in secondo grado, mentre la Corte di cassazione, il 18 aprile 2013, annulla la sentenza di assoluzione. Secondo i legali, Alberto Stasi non si sarebbe potuto sporcare poiché il sangue era già secco; la perizia medico-legale indicò un'ora della morte congruente con questa ipotesi e quella informatica diede un alibi al giovane, che sarebbe stato al lavoro con il computer per preparare la tesi di laurea. Sempre secondo la difesa, il delitto, dopo aver suggerito di indagare in ambito famigliare e lavorativo, potrebbe attribuirsi a una rapina violenta, in cui il ladro si sarebbe fatto inizialmente aprire dalla vittima con l'inganno. Questa ipotesi fu respinta anche dalle sentenze assolutorie.
In primo grado il 17 dicembre 2009 al Tribunale di Vigevano, il Gup Stefano Vitelli, in funzione di giudice monocratico, assolse Alberto Stasi per non aver commesso il fatto. In appello il 7 dicembre 2011, davanti alla Corte d'assise d'appello con giudici popolari e col processo spostato a Milano, una nuova perizia (non accettata però dal collegio giudicante) spostò l'ora della morte, negando così a Stasi l'alibi e la plausibilità del fatto che non si sarebbe sporcato, senza tuttavia portarlo ad una condanna. La sentenza fu di assoluzione "per non aver commesso il fatto".
La Cassazione, tra le motivazioni dell'annullamento, ordinò esami del DNA sul capello trovato tra le mani della vittima (non noto durante il primo giudizio) e su residui di DNA sotto le unghie, repertati e mai analizzati. Nonostante l'annullamento con rinvio dell'assoluzione, la Suprema corte ribadì che fosse, a proprio giudizio, difficile «pervenire a un risultato, di assoluzione o di condanna, contrassegnato da coerenza, credibilità e ragionevolezza» e quindi «impossibile condannare o assolvere Alberto Stasi», preferendo però non confermare l'assoluzione, in attesa dei nuovi esami scientifici.
Al processo d'appello di rinvio il 17 dicembre 2014, in seguito alla nuova perizia computerizzata sulla camminata e ad alcune incongruenze nel racconto e pur in assenza di riscontri nei nuovi test del dna (come quello sul capello), Stasi viene ritenuto colpevole e condannato a 24 anni di reclusione (pena poi ridotta a 16 anni grazie al rito abbreviato) per omicidio volontario, con l'esclusione però degli aggravanti della crudeltà e della premeditazione. Presentando poi ricorso in Cassazione, il pm chiede la conferma della condanna e l'aggiunta dell'aggravante della crudeltà (per inasprire la pena), mentre la difesa (composta dagli avvocati Angelo e Fabio Giarda e Giuseppe Colli) chiede l'annullamento senza rinvio o un nuovo processo, ricollegandosi ai dubbi espressi in precedenza dalla stessa Cassazione sull'impossibilità di determinare la colpevolezza o l'innocenza con certezza. Il procuratore della Cassazione chiede a sorpresa l'annullamento della condanna, con preferenza per il rinvio. Il 12 dicembre 2015, tuttavia, la Corte di cassazione conferma la sentenza-bis della Corte d'appello di Milano, condannando in via definitiva Alberto Stasi a 16 anni di reclusione, pur senza delineare un movente, parlando di un attacco di rabbia di Stasi.
Un omicidio collegato ad altri?
Durante le indagini fu notata una strana coincidenza con alcuni suicidi avvenuti nella zona negli anni precedenti, alimentando ulteriormente le speculazioni su possibili collegamenti con il caso. Il "giallo di Garlasco" continua a suscitare interrogativi e dibattiti. La mancanza di un movente chiaro e l'assenza dell'arma del delitto hanno reso questo caso emblematico delle difficoltà nel sistema giudiziario italiano. Le domande rimangono: Alberto Stasi è davvero colpevole? O ci sono altri elementi non considerati che potrebbero cambiare il corso della verità? La storia di Chiara Poggi è diventata un simbolo della ricerca della giustizia in un contesto complesso e spesso opaco.
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