Pubblicazione
A Gubbio, otto secoli fa, un lupo terrorizzava la gente. Ma un giorno Francesco decise di uscire dalle mura, di andare incontro alla paura e di chiamarla “fratello”. Nel suo nuovo libro “E se tornasse Francesco?” (edizioni San Paolo), padre Enzo Fortunato rilegge quell’incontro come un segno di straordinaria attualità: la pace nasce solo quando ci si ferma ad ascoltare ciò che si teme. Tra le pagine del volume, il racconto del lupo di Gubbio diventa una parabola per il nostro tempo, un invito a trasformare il conflitto in fraternità.
Ecco un estratto del volume: “La storia del lupo di Gubbio - forse tra le più note legate a San Francesco - è stata spesso narrata come fiaba, come favola per bambini. Ma dietro quell’apparenza semplice si cela un dramma sociale, una ferita reale. Chi era, in realtà, questo ‘lupo’ di Gubbio? La tradizione popolare parla di un miracolo, ma le fonti storiche ci suggeriscono un’altra interpretazione: dietro l’immagine del lupo si cela un uomo, un brigante, un violento che seminava terrore nella Gubbio medievale. Frate Lupo - così Francesco lo chiama - non è solo un animale. È l’emblema del male sociale, di un’umanità lacerata. Quando Francesco lo incontra, non fugge, non lo affronta con armi, ma lo chiama. Gli dice: ‘Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo che tu venga ora, meco, senza dubitare di nulla’. E il lupo, obbediente, lo segue come un agnello mansueto. I cittadini, stupiti, accorrono. Il fatto si diffonde ovunque. Che cosa aveva compreso Francesco in quel momento? Aveva intuito una verità profonda: dietro ogni atto di cattiveria si nasconde spesso un’ingiustizia. Quel lupo - che fosse davvero un animale o un uomo poco importa - era diventato violento perché era stato escluso, affamato, privato di dignità. Ecco allora la lezione. Il lupo, figura del prepotente, di colui che divora e calpesta i più deboli, viene affrontato non con la forza ma con la parola, con la vicinanza, con il pane. Quando si lancia su Francesco, pronto a sbranarlo, il santo rimane fermo. Non arretra. Il lupo si blocca. E lì, in quell’istante, la violenza viene spezzata dall’incontro. La giustizia, per Francesco, non è vendetta, ma il ristabilimento dei legami infranti".

Infine: "Dopo averlo ammonito con fermezza e senza indulgenza, Francesco propone qualcosa di rivoluzionario: cerca la radice della cattiveria. ‘Tu sei cattivo perché hai fame’. E con questo svela l’altra faccia della colpa: la responsabilità collettiva. La responsabilità di una città, di un popolo, di un sistema che genera lupi perché non sa sfamare. Chiede dunque a tutti - cittadini, comunità, governi - di non punire semplicemente il male, ma di guarirne le cause. Il gesto simbolico è potente: dare pane al lupo. Sfamarlo perché non sbrani più. Non è una favola, è un messaggio profondamente concreto. È la proposta di una comunione che superi la logica della competizione”.
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