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Caso, frazione del Comune di Sant’Anatolia di Narco
Sembra uscito da un acquerello: prati chiari, boschi profondi, cime oltre i mille metri e cicale a cantare nel silenzio. Caso, minuscola frazione del Comune di Sant’Anatolia di Narco, si nasconde a 728 metri di quota, sotto il livello della strada provinciale 471. E’ invisibile a chi passa veloce, perché non si mostra subito, si nasconde, quasi geloso della propria bellezza silenziosa e proprio per questo capace di sorprendere. E forse è questa la sua forza: il mistero. Per raggiungerlo, bisogna imboccare una stradina secondaria. Poi, d’improvviso, si apre il sipario: un borgo abbracciato dal verde, alle pendici del monte Coscerno dove nidifica l’aquila.
Un castello tra i boschi
Un tempo Caso era un castello. Oggi resta una porzione della cinta muraria e l’antica porta d’ingresso, a testimonianza di un passato che ancora respira tra le pietre. Qui il tempo non è fermo: è semplicemente diverso. Lentamente si è fatto quiete. L’aria è fresca, i rumori si smorzano in un silenzio che parla, rotto solo dal canto delle cicale e dallo stormire degli alberi.
Tutt’intorno, il verde: quello chiaro dei prati e quello cupo dei boschi. Sopra, un cielo profondo attraversato da cirri di bambagia. Le cime del Coscerno e del monte di Mezzogiorno vegliano sul borgo. Quest’ultimo si chiama così perché, raccontano gli anziani, i contadini del passato erano capaci di leggere l’ora solo guardando l’ombra che la montagna proiettava a mezzogiorno.
Un borgo in crescita
In un’Italia interna che si svuota, Caso va controcorrente. Un risveglio che non fa rumore, ma si sente. Qui la popolazione cresce. Un’anomalia felice? Lo abbiamo chiesto al sindaco Tullio Fibraroli: “Nel nostro comune c’è una tenuta demografica, se non un leggero aumento. Caso si sta ripopolando e in questi ultimi anni ha vissuto una vera rinascita: diversi immobili sono stati acquistati, sia da umbri in pensione che da stranieri, come una coppia di olandesi che sta ristrutturando un antico fabbricato”.
Il borgo conquista. Per la posizione, certo, ma soprattutto per la sensazione di pace che trasmette. “Chi cerca silenzio, aria pulita, frescura anche d’estate, qui trova tutto – continua il sindaco –. Il clima è mite, i collegamenti con le strade principali sono comodi e non mancano i servizi: perfino la fibra ottica è arrivata fin qui”. Un dettaglio che, in un mondo sempre più connesso, diventa strategico per chi vuole lavorare a distanza ma non rinunciare alla qualità della vita.
Sulle terrazze della Valnerina
Affacciandosi da Caso si ha l’impressione di trovarsi su una delle tante terrazze privilegiate dell’Umbria. Quasi una miniatura acquerellata. Il paesaggio è maestoso, senza essere invadente. Accoglie, non impone. E mentre si cammina tra le stradine acciottolate, si respirano storie. Quelle di chi è rimasto, ma anche quelle di chi se n’è andato e poi è tornato. O di chi ha scelto questo angolo nascosto come nuova casa.
Lungo la strada che sale verso il borgo, ci si imbatte in un oliveto d’alta quota. Una scommessa? Forse. Ma ben riposta. “Qui a 700 metri, anche l’ulivo trova casa. È stato impiantato da Giancarlo Carocci, che ha un’azienda agricola nel comune – spiega ancora il sindaco –. Le pianticelle hanno attecchito subito, grazie alla buona esposizione a sud e alla protezione dal freddo a nord. E non mancano neppure le piantine tartufigene”.
La voce degli anziani
Nel comune di Sant’Anatolia vivono ancora tanti vegliardi, come li chiamano con rispetto, custodi di memoria e storie contadine. I più anziani? “Angelo e Gildo – dice Fibraroli – figure che incarnano la saggezza della nostra montagna”. Due volti che raccontano più di mille pagine scritte. Portatori di memoria, testimoni di un tempo che oggi si trasmette più con la voce che con le mani. È da loro che si attingono racconti, proverbi, gesti antichi. Sono le radici vive del borgo.
Un passato che resiste nella pietra
Caso ha attraversato secoli restando fedele a se stesso. Lo racconta Glenda Giampaoli, direttrice del Museo della Canapa: “Nel Medioevo visse una lunga fase di tranquillità, legata alla fedeltà a Spoleto. Fu di Federico II nel 1241, tornò a Spoleto otto anni dopo. Solo nel 1522 si alleò ai castelli ribelli, ma fu un tentativo fallito. Durante la repubblica francese, nel 1798, subì le invasioni degli insorti. Poi, con la Restaurazione, ottenne un sindaco sotto il gonfaloniere spoletino, ma la sua autonomia finì nel 1895, quando fu accorpato a Sant’Anatolia”.
Ma il passato non è solo nei libri. Vive tra le mura delle sue chiese. Dentro le mura di Caso c’è la romanica Santa Maria Assunta, che conserva affreschi dei secoli XV e XVI con le storie della Vergine. Alcuni dipinti sono attribuiti alla scuola pittorica spoletina ed a quella di Giovanni Spagna. Poco distante, l’oratorio tardo gotico di San Giovanni Battista. Fuori dal borgo, la chiesa della Madonna delle Grazie, nota come “Madonna a cavallo”, e poi, lungo l’antica mulattiera per Gavelli, la chiesetta di Santa Cristina, del XII secolo: una navata unica, ex voto appesi, immersa in un bosco che sembra proteggerla. Qui operarono maestri come lo Spagna e il Maestro di Eggi, attivi nella zona spoletina.
Canapa e memoria
Fino a poco tempo fa, da marzo a maggio, centinaia di scolaresche arrivavano a Sant’Anatolia per visitare il Museo della Canapa. Un luogo che non è solo esposizione, ma memoria viva. “Il nostro scopo – racconta Giampaoli – è recuperare e tramandare un sapere antico: la lavorazione della canapa, usata per secoli per corde, tessuti domestici, lenzuola”.
Gli attrezzi del tempo
Passeggiando per l’agglomerato di Caso si incontrano ancora tracce di quella civiltà contadina che ha plasmato il territorio. Appesi ai travi, come amuleti, ci sono gli attrezzi del passato: la perticaia (un termine antico che indicava l’aratro), il giogo, la roncola. Oggetti semplici, eppure essenziali. Strumenti di fatica e di sopravvivenza, protagonisti di una vita dura, che oggi sopravvive nei racconti degli anziani. Non ci sono più le mani che li usavano, ma resta l’eco di quei gesti.
Una scena che non chiude mai il sipario
Caso non è un luogo da cartolina. È teatro. Ma di quelli veri, dove la scena cambia con la luce del giorno e con le stagioni. È un palcoscenico di pietra e vento, dove ogni scorcio racconta una storia. E dove la meraviglia non sta nei grandi eventi, ma nei dettagli: una finestra fiorita, un muretto in pietra, una voce che ti saluta da lontano. Non serve altro. Perché a Caso, anche il silenzio ha qualcosa da dire.
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