
All'appello manca Chico Forti. Perché non c'è solo quel Patrick Zaki, egiziano smemorato e scarcerato con la grazia del leader del suo paese, Al Sisi. Un capitolo da chiudere al più presto perché certo è difficile accettare un atteggiamento di così scarsa gratitudine nei confronti del governo di uno Stato diverso dal suo, l'Italia, che è riuscito a convincere le autorità del Cairo a liberare il detenuto. Ma ognuno è fatto a modo suo, e pazienza. Ora però è ancora più importante chiudere il capitolo Forti, che Luigi Di Majo lasciò aperto anni addietro. Si tratta dell'italiano recluso da oltre vent'anni in America, a seguito di una condanna per omicidio. Aldilà del fatto che il reato non è mai stato ammesso, quello che da tempo si chiede dal nostro Paese è di fargli scontare la sua pena nelle carceri italiane.
Quel che si sa - nei segreti che hanno sempre uno spiffero nel quale si infilano e poi fuoriescono - la trattativa tra le autorità dei due paesi non si è mai interrotta. E chissà se Giorgia Meloni potrà inserire il caso di Chico Forti nell'agenda che squadernerà alla Casa Bianca la prossima settimana, quando sarà ricevuta in forma ufficiale dal presidente Biden. Certo è che nessuno - soprattutto dopo la liberazione di Zaki e il suo incredibile atteggiamento verso il governo italiano - si farà scucire una parola di bocca sul caso americano. Anche perché Forti era dato per prossimo all'arrivo in Italia già nel 2020. E da allora poi non è accaduto nulla di concreto, almeno per quanto se ne possa sapere. E se ne è ricavato il sapore amaro della presa in giro, sia per il detenuto sia per quanti ne hanno seguito le vicende, convinti di un errore giudiziario. Ma innocente o colpevole, l'Italia ha battuto la strada del trasferimento in un nostro carcere. Chissà che non sia la volta buona.