
Massimo Bagnato, showman, comico e autore, volto di Zelig e di Quelli che il calcio, è romano verace, ma con un forte legame con l'Umbria, a cominciare dal suo brano di successo: Semo gente di Foligno.
-Bagnato, come arrivò a Foligno e perché scrisse quel brano?
"Ci arrivai grazie un grandissimo coreografo, Tony Ventura, per me un fratello maggiore. Fu proprio lui a portarmi a Foligno dove conobbi Maurizio Rosi, con il quale ho stretto un sodalizio artistico ancora forte. E proprio grazie a questi amici ho scoperto la purezza di gente che non cerca di atteggiarsi a ogni costo. E mi sono appassionato a quella loro cadenza dolce. Da qui è nato il gioco, appunto la canzone che ho scritto io sia testo che musica e che piacque molto a Costanzo e fece furore nella sua trasmissione. Il brano suscitò all'inizio molta ilarità e qualcuno se la prese pure, perché sembra quasi una presa in giro. In realtà è un tributo affettuoso agli amici. Amo molto quella terra e, tra l'altro, mi sono appassionato alle cantine che gravitano in zona, le conosco e le ho battute una a una".
-Buon bere, buon cibo e amici, da romano che altro apprezza dell'Umbria?
"Ho amato la storia di Frate jullare Francesco raccontata da Dario Fo e conosco molto bene la vita di Jacopone da Todi. L'Umbria come terra dei Santi mi affascina e mi interessa, ho letto e studiato tanto in proposito. Il Medioevo apre tante porte".
-Per lei, che è un attore completo e versatile, si esibisce in teatro, radio e televisione, com'è stata la ripresa del lavoro dopo il periodo della pandemia?
"Molto difficile. La scena si sta popolando di personaggi che si sono inventati una professione dal nulla, senza alcuna formazione. Il lavoro del comico, invece, è un mestiere artigianale e lo è fin dall'antichità, non può quindi essere improvvisato su Tik Tok da un giorno all'altro".
-A chi e a che si riferisce?
"Soprattutto a chi usa le volgarità per fare presa sul pubblico facilmente. Woody Allen ha detto una cosa molto giusta in proposito, ovvero che ormai prima di una battuta alcuni dicono 567 parolacce. Invece per i comici tradizionali, quelli di vecchia generazione, questo non è mai stato necessario: Macario, Totò ce lo hanno insegnato bene".
-Lei, insomma, si reputa un comico di vecchia generazione?
"L'unico modo per salvaguardare il lavoro che faccio è tutelarlo da chi si improvvisa. A me fa tristezza vedere comici della mia età che ogni giorno devono fare le storie su Instagram e andare a caccia di like. Figuriamoci, io sono ancora uno di quelli che esce la mattina e va a comprarsi il giornale cartaceo, legge i libri veri e non sta tutto il giorno a smanettare sul cellulare".
-Di quale tradizione, dunque, si sente figlio?
"Mi sento legato al teatro di Giorgio Albertazzi, Romolo Valli, Vittorio Gassman ma anche a Carmelo Bene e a Gabriele Lavia. La memoria di tutto questo va coltivata e preservata. Ancora mi domando perché non hanno dato il Nobel Edoardo De Filippo e l'Oscar ad Alberto Sordi".
-Per dirla con Francesco Piccolo, ci svela un suo momento di trascurabile felicità?
"Le serate tra amici, o con la propria compagna, passate in una osteria all'uscita di un teatro. Insomma, mi piace vivere la quotidianità con le persone care e condividere con loro la buona tavola e il bere sano".
-E cosa le suscita infelicità?
"La paura delle nuove generazioni. La sottocultura della violenza fatta propria dalle cosiddette baby gang. Ecco tutto questo mi angoscia e penso sia necessario contrastare quanto sta accadendo con l'educazione in famiglia, a scuola, facendo sport. Una volta il maestro bacchettava l'alunno indisciplinato e la mamma ci faceva la giunta. Oggi non è più così, se un ragazzo viene bocciato perché non studia i genitori vanno al Tar. E sono gli stessi che crescono i figli davanti al tablet".
-Lei ha figli?
"Sono felicemente accompagnato ma non ho figli. Potrei scrivere un lungo discorso al figlio mai avuto".
- Il suo lato migliore?
"Sono romanista. E un cultore della romanità".
- E il suo peggior difetto?
"Prendermela troppo quando le cose non vanno per la Roma".
- Ha un motto di vita?
"Mai rimandare a domani ciò che si può fare oggi".
-Bagnato, per concludere: a che sta lavorando?
"Sto lavorando a teatro. E ho l'opportunità di collaborare in festival importanti con un drammaturgo di grande levatura come Gian Maria Cervo. Spero di passare prima o poi anche in Umbria. Tra l'altro il mio agente, Lorenzo Paolucci, è di Amelia e con lui ci siamo inventati un format molto interessante che si chiama Buio".
-Bagnato, come arrivò a Foligno e perché scrisse quel brano?
"Ci arrivai grazie un grandissimo coreografo, Tony Ventura, per me un fratello maggiore. Fu proprio lui a portarmi a Foligno dove conobbi Maurizio Rosi, con il quale ho stretto un sodalizio artistico ancora forte. E proprio grazie a questi amici ho scoperto la purezza di gente che non cerca di atteggiarsi a ogni costo. E mi sono appassionato a quella loro cadenza dolce. Da qui è nato il gioco, appunto la canzone che ho scritto io sia testo che musica e che piacque molto a Costanzo e fece furore nella sua trasmissione. Il brano suscitò all'inizio molta ilarità e qualcuno se la prese pure, perché sembra quasi una presa in giro. In realtà è un tributo affettuoso agli amici. Amo molto quella terra e, tra l'altro, mi sono appassionato alle cantine che gravitano in zona, le conosco e le ho battute una a una".
-Buon bere, buon cibo e amici, da romano che altro apprezza dell'Umbria?
"Ho amato la storia di Frate jullare Francesco raccontata da Dario Fo e conosco molto bene la vita di Jacopone da Todi. L'Umbria come terra dei Santi mi affascina e mi interessa, ho letto e studiato tanto in proposito. Il Medioevo apre tante porte".
-Per lei, che è un attore completo e versatile, si esibisce in teatro, radio e televisione, com'è stata la ripresa del lavoro dopo il periodo della pandemia?
"Molto difficile. La scena si sta popolando di personaggi che si sono inventati una professione dal nulla, senza alcuna formazione. Il lavoro del comico, invece, è un mestiere artigianale e lo è fin dall'antichità, non può quindi essere improvvisato su Tik Tok da un giorno all'altro".
-A chi e a che si riferisce?
"Soprattutto a chi usa le volgarità per fare presa sul pubblico facilmente. Woody Allen ha detto una cosa molto giusta in proposito, ovvero che ormai prima di una battuta alcuni dicono 567 parolacce. Invece per i comici tradizionali, quelli di vecchia generazione, questo non è mai stato necessario: Macario, Totò ce lo hanno insegnato bene".
-Lei, insomma, si reputa un comico di vecchia generazione?
"L'unico modo per salvaguardare il lavoro che faccio è tutelarlo da chi si improvvisa. A me fa tristezza vedere comici della mia età che ogni giorno devono fare le storie su Instagram e andare a caccia di like. Figuriamoci, io sono ancora uno di quelli che esce la mattina e va a comprarsi il giornale cartaceo, legge i libri veri e non sta tutto il giorno a smanettare sul cellulare".
-Di quale tradizione, dunque, si sente figlio?
"Mi sento legato al teatro di Giorgio Albertazzi, Romolo Valli, Vittorio Gassman ma anche a Carmelo Bene e a Gabriele Lavia. La memoria di tutto questo va coltivata e preservata. Ancora mi domando perché non hanno dato il Nobel Edoardo De Filippo e l'Oscar ad Alberto Sordi".
-Per dirla con Francesco Piccolo, ci svela un suo momento di trascurabile felicità?
"Le serate tra amici, o con la propria compagna, passate in una osteria all'uscita di un teatro. Insomma, mi piace vivere la quotidianità con le persone care e condividere con loro la buona tavola e il bere sano".
-E cosa le suscita infelicità?
"La paura delle nuove generazioni. La sottocultura della violenza fatta propria dalle cosiddette baby gang. Ecco tutto questo mi angoscia e penso sia necessario contrastare quanto sta accadendo con l'educazione in famiglia, a scuola, facendo sport. Una volta il maestro bacchettava l'alunno indisciplinato e la mamma ci faceva la giunta. Oggi non è più così, se un ragazzo viene bocciato perché non studia i genitori vanno al Tar. E sono gli stessi che crescono i figli davanti al tablet".
-Lei ha figli?
"Sono felicemente accompagnato ma non ho figli. Potrei scrivere un lungo discorso al figlio mai avuto".
- Il suo lato migliore?
"Sono romanista. E un cultore della romanità".
- E il suo peggior difetto?
"Prendermela troppo quando le cose non vanno per la Roma".
- Ha un motto di vita?
"Mai rimandare a domani ciò che si può fare oggi".
-Bagnato, per concludere: a che sta lavorando?
"Sto lavorando a teatro. E ho l'opportunità di collaborare in festival importanti con un drammaturgo di grande levatura come Gian Maria Cervo. Spero di passare prima o poi anche in Umbria. Tra l'altro il mio agente, Lorenzo Paolucci, è di Amelia e con lui ci siamo inventati un format molto interessante che si chiama Buio".

Nata a Perugia, classe 1963, Sabrina Busiri Vici è laureata in Scienze Politiche all'Università degli studi di Perugia. Giornalista professionista dal 1998. Nel 2005 entra nella redazione del Corrie...