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Quattro dischi d’oro, tre album, oltre 500 concerti. Se non è il lavoro dei sogni, poco ci manca. Eppure Gianluigi Cavallo, in arte Cabo, ha lasciato tutto. Basta con la vita da rockstar, meglio quella da programmatore informatico, “ma con l’augurio di diventare imprenditore come ho fatto io e di creare un’azienda. Il mondo della musica non è così nitido, chiaro e vero come lo sono i dati e l’informatica”. Fondatore della Virtualcom Interactive, nato a Parma nel 1968, Cavallo è stato dal 1999 al 2006 frontman dei Litfiba, sostituendo Piero Pelù.
- Ma quale delle due passioni è arrivata prima?
La musica arriva che avevo dieci anni, suonavo la chitarra in maniera molto basica. Dopo due anni sono arrivati i primi computer, il Sinclair ZX81 e Commodore VIC-20. Ma ripeto, ho iniziato con la musica. Mi ricordo di aver trovato dei dischi di mia madre in un vecchissimo mobile: erano 45 giri di Elvis, di Little Richard, Jack Barry che mi hanno fatto conoscere il primissimo rock’n’roll: me ne innamorai subito. Mio zio poi era musicista, faceva jazz, e mi ha insegnato i primi accordi.
-Le prime esperienze sono arrivate direttamente con i Litfiba?
No, io ho iniziato relativamente presto, già a 12 anni ho fatto i primi concerti a scuola e poi con formazioni sempre più concrete. I compagni di viaggio sono importanti, ma la bellezza per me era scrivere canzoni da zero, non suonare cover. Questo non è un sentimento sempre condiviso quando fai parte di una band. Così verso i 25 anni ho deciso di scrivere un album da solo, ed essendo programmatore e polistrumentista mi sono aiutato con il computer. Registrai tutti gli strumenti con il pc e lo composi. Portandolo in giro mi ha notato il produttore dei Litfiba.
- Prima di entrare nella band c’è stata anche un’esperienza a Foligno, dove lei ha fatto il militare nel 1987. E’ vero che suonava anche lì?
Assolutamente, avevamo una piccola sala prove all’interno della caserma Car (Centro addestramento reclute) del 92° Battaglione Fanteria Basilicata e abbiamo suonato per gli ufficiali un po’ in tutta l’Umbria, da Perugia al Trasimeno, per le varie feste. Ricordo sempre con piacere la serenità e la pace che la terra umbra sa dare, un luogo vivace e sereno al tempo stesso. E’ una terra magica. E poi quell’anno mi ha permesso anche di coltivare la mia passione per la programmazione.
- Si spieghi meglio…
Io ero stato assegnato alla caserma di Portogruaro, ma pochi giorni prima della partenza si erano bloccati i due computer della caserma a Foligno. Il vicecomandante di battaglione, il maggiore Motta, mi fece la proposta di rimanere per riprogettare il sistema informatico per renderlo più efficiente come comandante del Ned (Nucleo elaborazione dati). Spulciando fra le reclute, gli addetti ai servizi avevano visto la mia specializzazione di programmatore, analista e sistemista. Così fui convocato per vedere se riuscivo a risolvere il problema. Cinque minuti dopo il problema era risolto. In più avevo migliorato il programma base e ne avevo riscritto una parte chiaramente buggata. Avevo passato i successivi quindici minuti descrivendo ai presenti le reali cause del problema. Avevo ottenuto l’attenzione e il rispetto dei presenti, quindi gli descrissi come si sarebbe dovuto comportare un software ben progettato e ben realizzato. A quel punto il maggiore Motta mi aveva condotto nel proprio ufficio per farmi la proposta. L’occasione di continuare a programmare sui computer era un traguardo lusinghiero. Nel giro di pochi mesi avviai un super programma di gestione delle reclute nella caserma. Trovai anche un aiutante nelle nuove leve e qualche altro ragazzo per fare un po’ di data entry, creando così una squadra che potesse sostituirmi nella manutenzione e nello sviluppo, una volta ritornato a casa. Prima della mia partenza il generale della divisione fece visita al battaglione e chiese di vedere il programma di gestione del centro di addestramento che avevo scritto. Credo di poter dire che gli piacque particolarmente, visto che si fece fare una copia dei codici sorgente su di un floppy disk per portarsela a Roma.
- Tornando ai Litfiba, lei entra nel gruppo nel 1999. Cosa ricorda di quegli anni?
La bellezza del viaggiare, conoscere persone e visitare posti. A me poi piaceva leggere e nei trasferimenti avevo tanto tempo per farlo. Credo di aver visto e provato tante cose che quel tipo di vita mi permetteva di fare.
- Perché ha lasciato nel 2006?
Quando iniziai, nel 1997, stavo per aprire la mia prima azienda informatica e misi in pausa quel progetto. Poi scoprii che la vita da rockstar ti lascia un sacco di tempo libero e così iniziai a collaborare anche con un polo editoriale, Intermezzi, che gestiva due radio importanti, due quotidiani, quattro settimanali e due magazine in Toscana. Iniziai a collaborare con loro nell’organizzazione informatica aziendale e nelle strategie web. Mi trovavo bene perché questa doppia vita mi piaceva. Quando nel 2006 ero pronto per aprire la mia nuova azienda, sentii che la parte musicale e artistica si era affievolita. Non c’erano più gli stimoli di prima e quindi presi questa decisione di tornare al mio progetto originale.
- Il concerto che più le è rimasto impresso?
Ce ne sono troppi, non riesco a dirne uno. Suonare dal vivo regala sempre tante emozioni. La cosa bella e magica è quando si riesce a entrare in collegamento con il pubblico.
- C’è un aneddoto che può raccontare di quegli anni?
Quando Piero litigò con Ghigo, quest’ultimo mi chiamò a Firenze per farmi la proposta e continuare il progetto con me. Il giorno che andai a trattare e raggiunsi l’accordo, i Litfiba suonavano al Mandela Forum, il palazzetto dello sport. Io andai nel backstage e mi fermai a cena con loro. Quando arrivò Piero, mi chiese cosa ci facessi lì. Risposi che ero a vedere il concerto ma a lui non fu chiarissima questa cosa. Diciamo che fu una cena con delitto. Piero non la prese benissimo, fece dichiarazioni piuttosto brutte verso di me, era un’icona del rock e io ero il signor nessuno. Era come sparare sulla Croce Rossa, anche se col tempo ci siamo chiariti e mi ha chiesto scusa.
- Dal 2008 si dedica completamente alla programmazione. Com’è cambiata la sua vita?
Sono sempre stato piuttosto in movimento, anche perché prima di entrare nei Litfiba facevo il dj e organizzavo concerti, quindi ero abituato a spostarmi. Aprire un’azienda con quello che avevo sempre sognato di fare mi aveva caricato moltissimo. Diciamo anche che creare software o creare una canzone sono due cose molto simili secondo me.
- La soddisfazione più grande raggiunta in ambito lavorativo?
Non ce n’è solamente una, ma il giorno più bello è sicuramente quando abbiamo preso come cliente un giornale nazionale. Il sistema era nato in un garage, e da lì a poco siamo diventati leader dell’editoria e poi siamo stati acquistati da una multinazionale inglese. La cosa bella è inventare software e vedere che la gente li sfrutta.
- Ma quindi, rifarebbe questa scelta?
Sì, forse con la saggezza di oggi non rifarei un sacco di errori. Ma la decisione che ho preso è stata corretta.
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