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Minardi premiato a Gubbio dal Rotary Club con il presidente Sandro Passeri, Fabrizio Fondacci e Mauro Marchi
Giancarlo Minardi è stato premiato a Gubbio dal Rotary Club. Al manager faentino un riconoscimento ufficiale durante il sessantesimo Trofeo Luigi Fagioli per il 40° anniversario del suo debutto in Formula 1. Il premio è stato consegnato la sera del 20 agosto, come parte degli eventi collaterali legati alla corsa eugubina.
- La passione dei motori come nasce in casa Minardi?
La mia famiglia era titolare della più antica concessionaria FIAT di Faenza, aperta nel 1927. Nel 1972 presi il comando della Scuderia del Passatore, due anni più tardi il cambio del nome in Scuderia Everest, con iscrizione al campionato europeo di Formula 2. Il team Minardi nasce nel 1979 quando decisi di prendere le redini del club diventando il proprietario. Nel 1980 esordisce in Formula 2 la prima vettura denominata Minardi. L'anno seguente arriva la prima vittoria con Michele Alboreto sul circuito di Misano.
- Da qui l’idea dell’esordio in Formula 1 nel 1984 con motorizzazione Alfa Romeo?
Massacesi, presidente di Alfa Romeo, ci promise il motore, ma poi si rimangiò la parola. Così in 6 mesi nacque il 6 cilindro turbo Cosworth.
- Ci racconta il primo incontro con Enzo Ferrari?
Nel 1974. Montezemolo che era suo assistente mi disse: “L’ingegnere la vuole conoscere”. Cinque ore con lui in quella stanza lunghissima e lui in fondo nella sua scrivania. Non si poteva fumare ma non lo sapevo, me lo dissero dopo. Con lui c’erano il fidato Gozzi e Ghedini, responsabile di Fiorano. Voleva che mi occupassi di una Scuola per giovani piloti. Mi dava la 321 GT con cui Lauda vinse il Mondiale. Poi negli anni successivi ho fatto i motori ufficiali Ferrari per la Formula 2. Quando avevo bisogno lo chiamavo e lui era sempre prodigo di consigli.
- Torniamo all’esordio in F1 40 anni fa?
Una pazzia. Avevamo un solo pilota, Piero Martini. In realtà il pilota doveva essere Nannini ma non aveva la super licenza. C’erano tanti team in F1, ma noi siamo sempre riusciti a rimanere nei primi 10. Un’avventura lunga 21 anni, con 340 Gp disputati. Abbiamo gareggiato in tutti gli autodromi del mondo.
- Il ricordo più bello?
Quando andavamo a punti. E poi indimenticabile quel giro di Martini da primo in Spagna.
- Il primo contatto con le auto quando è stato?
Da bambino. Ricordo che la prima macchinina a motore la costruirono tutta per me in officina. Volevo fare il pilota, poi ho capito che era meglio lasciar perdere.
- Lei è sempre stato considerato un talent scout, vero?
Certamente ho avuto alle mie dipendenze sempre piloti giovani. Lo stesso Kimi Antonelli è stata un’intuizione di mio figlio che lo ha presentato a Toto Wolff. Alonso ha esordito in F1 con noi, grazie ad Alboreto. Altrimenti non sarebbe diventato mai campione del mondo. Insomma, nello sport come nella vita, ci vuole anche la fortuna.
- Ha un rammarico?
Uno soltanto, che quella volta in F1 a punti andavano solo i primi 6. E c’era una grossissima differenza di disponibilità economiche con i team più grandi. Praticamente era impossibile competere con loro.
- Torniamo agli esordi nel Grande Circus. Ci sono tanti aneddoti. Verità o leggenda?
Se si riferisce alla storia del cambio gomme dico subito che è tutto vero. Ho fatto anche questo al primo Gp. Del resto eravamo appena 13 nel team (oggi solo 12 persone si occupano del cambio gomme, ndr) e bisognava sacrificarsi. Non c’erano alternative.
- Ci racconti della sua amicizia con Senna…
Veniva spesso a mangiare nel nostro box. Gli piaceva da morire la pasta e, con noi, da buoni romagnoli, sfondava una porta aperta. Il primo incontro è stato nel 1992. Me lo aveva segnalato Barilla che correva con lui nella formula Ford. Ricordo che eravamo ad Hockenheim in Germania. L'ho visto e l’ho invitato a cena. Gli offrii un contratto da professionista. Alla fine non accettò, ma non lo ha mai dimenticato e ogni volta che ci incontravamo mi diceva: “Sei stato il primo a fare sul serio con me”.
- Perché rifiutò?
Aveva le idee chiarissime già in quell’incontro nel lontano 1982. Mi diceva: “Caro Giancarlo io devo diventare campione del mondo nel 1998”. Si confidava spesso con me, per lui ero un fratello maggiore: “Dopo il quinto titolo iridato verrò alla Minardi”, mi diceva sempre. In fin dei conti, nell’ambiente mi hanno sempre voluto bene tutti. Allora la passione era superiore alla carriera di un pilota.
- A proposito di piloti. E’ rimasto legato in modo particolare a qualcuno? Se diciamo Alonso?
Rispondo che ogni volta che ci vediamo sono baci e abbracci ma aggiungo che… non ho neanche il suo numero di telefono. Il mio amore resta Martini che è cresciuto vicino alla nostra scuderia e insieme abbiamo fatto grandi cose. Ci sentiamo ancora anche se oggi si occupa di finanza e di auto fa solo il collezionista. E qui vi do una chicca: è l’unico al mondo ad avere la famosa Tyrrel a 6 ruote. Un vero e proprio gioiello.
- E di Gubbio cosa ci dice?
Bellissima città, non la scopro certo io. Sono venuto qua le prime volte per le cronoscalate. Conosco Fondacci, il direttore di gara, da una vita. E poi non dimentico la serata del memorial Barbetti quando ho ricevuto il premio dedicato ai due fratelli eugubini che conservo nella mia casa con molta cura. Qui ogni anno si corre il Trofeo Fagioli che è una gara a cui sono molto affezionato e che ogni anno fa il record di iscritti (302 nell’ultima edizione) dimostrando una crescita continua che per Aci è un segnale importante. Se a Gubbio viene a correre così tanta gente un motivo c’è. Ed è dettato dalla grande passione della città per questa corsa, dalla possibilità per i team di vivere la città e di unire alla competizione la possibilità di trascorrere un week end in un posto bellissimo con il paddock a ridosso del centro storico. Le mogli e le fidanzate non si annoiano e hanno la possibilità di fare shopping a due passi dal centro. Il che non guasta.
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