In un’intervista che sta già facendo discutere, pubblicata oggi 5 aprile sul Corriere della Sera, Thiago Motta ha aperto il cuore e la mente, raccontando senza remore il suo addio alla Juventus e il senso di frustrazione che lo accompagna. Esonerato il 23 marzo in un clima di tensioni e aspettative non soddisfatte, l’allenatore italo-brasiliano ha offerto una versione sincera e tagliente della sua avventura sulla panchina bianconera, puntando i riflettori su ciò che considera un tradimento da parte della società. Le sue parole, misurate ma cariche di emozione, stanno accendendo i riflettori su una vicenda che potrebbe segnare un punto di svolta per il futuro della Vecchia Signora.
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Motta non ci gira intorno: “Sono amareggiato, non per il risultato in sé, ma per come è finita”, esordisce, sottolineando che il suo progetto era stato interrotto bruscamente, quando la squadra si trovava a un solo punto dal quarto posto, un obiettivo dichiarato all’inizio della stagione. “Sapevamo tutti che servivano tempo e pazienza per una rivoluzione così profonda: ringiovanire la rosa, cambiare mentalità, costruire qualcosa di duraturo. Ma nel calcio di oggi, soprattutto in una piazza come Torino, il tempo sembra un lusso che nessuno è disposto a concedere”. È un’accusa velata, ma chiara, a una dirigenza che, secondo lui, ha scelto la via più facile invece di credere fino in fondo nel suo lavoro.
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Sulle dinamiche interne, Motta è categorico nel difendersi dalle critiche. “Chi parla di spogliatoio contro di me racconta solo falsità. Ho sempre avuto un rapporto diretto e sincero con i giocatori, e loro hanno sempre risposto con impegno, anche quando gli infortuni ci hanno messo in ginocchio. Non c’è stato un momento in cui mi sono sentito isolato dalla squadra”. Un messaggio chiaro, che sposta la responsabilità sulle scelte della società e non sui suoi uomini. Nonostante c'è chi forse ha più di un motivo per togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
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L’analisi sul suo lavoro è altrettanto lucida. Motta ammette gli errori: Nelle ultime partite non abbiamo giocato bene, e certo, se potessi tornare indietro, cambierei alcune decisioni. Nessuno è perfetto. Ma buttare via tutto quello che avevamo costruito, i progressi della squadra giovane, mi sembra ingiusto. È un’ammissione di fallibilità, ma anche un invito a guardare oltre: il suo progetto, dice, aveva gettato le basi per qualcosa di importante, e il suo esonero ha interrotto un percorso che meritava più chance.
Le sue parole stanno già scatenando reazioni. I tifosi si dividono: c'è chi lo vede come un visionario tradito da una dirigenza impaziente, e chi lo accusa di non aver portato i risultati attesi. Ma l'interesse attorno a questa intervista non si spegne: Motta, con il suo stile pacato ma deciso, ha saputo accendere una discussione che va oltre il calcio, toccando temi come la pazienza, la coerenza e il coraggio di credere in un'idea. Che ne sarà della Juventus con Igor Tudor al timone? E Motta, dove andrà? Per ora, le sue dichiarazioni restano un'eco potente, un richiamo a non dimenticare che dietro ogni risultato c'è una storia, e che a volte, nel calcio, il vero tradimento non è nei numeri, ma nelle promesse non mantenute. Nel frattempo, i bianconeri saranno impegnati nel sunday night contro la Roma di Ranieri. Tutto pronto per il big match di domani 6 aprile alle ore 20:45, in una sfida decisiva in ottica quarto posto.
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