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Stefano Tacconi al Corriere: "Da aprile 2022 vivo il mio secondo tempo"

L'ex portiere si racconta dall'infanzia a Ponte Felcino alle vittorie con la Juve fino all'aneurisma di due anni fa

Roberto Minelli

01 Novembre 2024, 18:00

Stefano Tacconi al Corriere: "Da aprile 2022 vivo il mio secondo tempo"

Tacconi in una immagine del 2015 (foto LaPresse)

Dai tuffi nel fango sui campi di Ponte Felcino e della periferia umbra a quelli sul prato dell’Olimpico di Tokyo, quando trascinò la Juve sul tetto del mondo. Una vita piena di vicissitudini che Stefano Tacconi, nel libro “L’arte di parare” pubblicato per Rizzoli, ha voluto dividere in due tempi, con la data spartiacque del 23 aprile 2022, con l’ex portiere colpito da un aneurisma cerebrale dal quale con coraggio, pazienza e perseveranza lo stesso Tacconi si sta piano piano riprendendo. “Più che secondo tempo siamo arrivati ai calci di rigore”, scherza subito il classe 1957 cresciuto a Ponte Felcino con la sempre presente ironia. Gli ricordiamo che nel ribattere i tiri dal dischetto era un autentico specialista e il clima scherzoso con cui era partita l’intervista rimane tale per l’intera chiacchierata.
- Cosa le è rimasto di quei tuffi sul fango dei campi di Ponte Felcino, da dove tutto è partito?
In realtà mi hanno quasi obbligato a stare in porta i miei fratelli. Loro volevano fare gli attaccanti, io ero il più piccolo e andavo a prendere le pallonate in porta. Ponte Felcino mi ricorda il periodo dell’infanzia, ho vissuto momenti importanti, amici straordinari. Ricordo il nascondino, giocavamo alle Olimpiadi. Tornavo pieno di fango e mia madre mi faceva sciacquare nell’acqua del Tevere prima di entrare in casa.

- A Ponte Felcino, lo ha citato pure nel libro, ha incontrato il suo primo grande maestro, Camillo Poletti.
E sì, lui mi ha insegnato i 10 comandamenti del portiere, dalla posizione al tuffo. Consigli e suggerimenti che mi sono portato dietro e mi sono serviti per tutta la carriera. Servirebbero anche a qualche portiere che vedo oggi. Faccio l’esempio di Donnarumma; non mi ha mai convinto del tutto, nonostante un fisico pazzesco. Di quei 10 comandamenti lui ne ha assimilati 5: gli manca qualcosa sul posizionamento. Insomma, è un problema. Meret, Vicario, tecnicamente hanno qualcosa in più rispetto a lui. Mi piace pure Milinkovic-Savic del Toro.
- E’ rimasto in contatto con qualche suo amico qui in Umbria?
Ci vive mio fratello, ci sentiamo anche con qualche amico, adesso meno. Ma con i social è un pochino più facile...
- Segue le vicende del Perugia? Qualche tempo fa aveva detto che Perugia le ricorda lo scudetto perso dalla Juve nel 2000...
No (precisa subito ndr), il Perugia lì fece la sua partita e ci sta. Lì fu Collina a far giocare una partita che non si doveva far giocare...
- Tacconi, come va la riabilitazione, o meglio il secondo tempo della sua vita, per dirla come scritto ne “L’arte di parare”...
Piano piano, stiamo migliorando. Scrivo che è il secondo tempo perché prima di quel 23 aprile di due anni fa (nel 2022 fu colpito da aneurisma cerebrale ndr) fumavo, bevevo, non mi fermavo mai per lavoro, facevo una vita irregolare. Da lì è cambiato tutto. Mi è stata vicina la famiglia soprattutto, i tifosi, qualche ex compagno (ricordo un video messaggio di Gianluca Vialli, bellissimo). Ma ci ho messo del mio, mi sono dato come obiettivo che volevo uscire a tutti i costi da quell’ospedale. E ce l’ho fatta, con tanto impegno ma ce l’ho fatta. Sono riuscito anche ad andare a Miami con mia moglie Laura, ci siamo un po’ svagati. Anche se mio figlio Andrea non voleva assolutamente. Non mi ha parlato per qualche giorno ma poi ha capito che queste cose faranno sempre parte del mio carattere.
- A proposito di carattere, lei è famoso anche per dichiarazioni al vetriolo che in passato non hanno risparmiato nessuno. Persino Maradona e Zoff...
Non ho mai guardato in faccia a nessuno. Ma era quello che pensavo e non mi sono mai pentito. Tanto che Maradona (a cui avevo detto: ‘Ma chi si crede Gesù Bambino?’) quando mi incontrò mi rispettò sin da subito: ‘Se dici queste cose a Napoli vuol dire che hai le palle’. Zoff è stato un amico fraterno, è stato mio preparatore, allenatore con cui abbiamo vinto Coppa Italia e Coppa Uefa. La società poi si innamorò di Maifredi, per carità...
- Ci torneremo su Maifredi. Quando ha capito che la sua carriera da portiere poteva diventare realtà?
Sicuramente quando sono andato a Spoleto. Negli anni Settanta era un serbatoio da cui le squadre di serie A prendevano i più forti. Lì ho giocato in serie D e mi sono fatto notare. Da lì comunque sapevo che quello sarebbe stato il mio futuro. Mi ricordo le battaglie anche quando giocavo nel Ponte Felcino. Campi come Gualdo, Cannara, contro l’Angelana di Angelillo, poi anche Gubbio: finiva sempre a botte (sorride ndr).
- Qual è stato il momento più alto della sua carriera?
Sicuramente la Coppa Intercontinentale nel 1985 con la Juve a Tokyo contro l’Argentinos Jr. Volevo lasciare un ricordo ai tifosi da protagonista, non volevo essere un giocatore qualsiasi e lì ci sono riuscito portando la Juve a vincere l’unico trofeo internazionale che mancava.
- In Nazionale ha trovato la concorrenza di Zenga, il rapporto con lui com’era e com’è?
C’è sempre stato un rispetto reciproco e dei ruoli, non ho mai fatto polemiche. Ho solo detto che io ho vinto tanto e lui no. Ma è stato anche lui un grande portiere. Al Mondiale del 1990 è andata come è andata, non c’era un blocco Juve in quel periodo e sappiamo che quando c’è stato la Nazionale ha vinto...
- Italia ’90 fu il Mondiale di Schillaci. C’è un aneddoto particolare che riguarda lui e il legame tra di voi?
Eh (sospira ndr). Dopo che mi sono ristabilito voleva vedermi a tutti i costi. Dovevamo incontrarci a Montecatini ma non abbiamo fatto in tempo (altro sospiro di commozione ndr). E’ stato un po’ il mio figlioccio Totò, lo vedevo spaesato quando è arrivato da Messina e l’ho aiutato da subito. Poi dopo il Mondiale fece più fatica. Ma Maifredi gli chiedeva di tornare anche in difesa e a uno come lui non potevi chiedere una cosa del genere...
- Maifredi, la cui esperienza alla Juve fu un disastro.
Fece bene a Bologna, arrivò a Torino con le sue idee del cavolo. Voleva fare come Sacchi: questi allenatori che non hanno mai giocato a calcio non sanno le dinamiche, soprattutto nelle grandi squadre. A Sacchi è andata bene ma aveva una squadra formidabile. Anche noi avevamo bei giocatori ma la squadra non si è adattata alle idee maniacali di Maifredi. Io avevo visto subito che andava male, prendemmo una batosta 5-1 a Napoli in Supercoppa. E’ finita peggio...
- Adesso c’è la costruzione dal basso, con i portieri che danno inizio alla manovra. Lei che ne pensa?
Mi fa venire il latte alle ginocchia (in realtà usa una espressione un po’ più colorita ndr). Il nostro calcio era più tecnico e meno tattico. Di sicuro più divertente. Sono tornato allo stadio a vedere Juve-Napoli di quest’anno. Una noia mortale. Ai miei tempi i giocatori volevano vincere, non si accontentavano. Anche le piccole davano l’anima. Ora con questo possesso palla ci si annoia di più.
- E cosa pensa della Juve di Motta?
E’ tutto nuovo ci vuole pazienza, sta facendo abbastanza bene. Certo che la mia Juve anche nelle partite più complicate dava sempre la sensazione di poter segnare in ogni momento, questa no. Colpa di Vlahovic? Lui per me fa anche troppo.
- Chi vince lo scudetto?
Vedo tanta incertezza non c’è una squadra che scappa via. Anche l’Inter doveva avere uno strapotere ma non è così. Ovvio che da tifoso tuttavia spero vinca la Juve.
Testa alta, schiettezza e ironia: l’atteggiamento di Stefano Tacconi nei confronti della vita non cambierà mai.

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