Il personaggio
Marco Montani con lo sherpa che lo ha accompagnato sulla vetta oltre i 6 mila metri
Dalla paura del vuoto alla vetta dell’Island Peak dell’Himalaya a 6.189 metri di altitudine. È la sfida personale e sportiva vinta tre giorni fa da Marco Montani, 32 anni, nato e cresciuto a Castel San Felice (Sant’Anatolia di Narco) tra le montagne della Valnerina, che fin da bambino ha esplorato con lunghe passeggiate, “anche se - ha raccontato ieri - al primo punto esposto mi ritrovavo a tremare”. Una paura, questa del vuoto, che Montani ha preso di petto negli ultimi due anni, “andando in montagna tutte le volte che avevo un giorno libero” e riuscendo, passo dopo passo, a vincere la sfida con se stesso e “a coronare il sogno della mia vita”, ovvero raggiungere la cima dell’Island Peak dell’Himalaya.
L’avventura in Nepal del trentaduenne umbro, però, non è finita. All’orizzonte c’è l’impegno preso in favore dei bimbi di un orfanotrofio di Kathmandu, a cui il 16 ottobre consegnerà, insieme ai compagni della sua spedizione, alimenti e materiale scolastico acquistato con circa 4.400 euro raccolti con una serie di eventi e grazie alla generosità di tanti. La donazione sarà l’ultimo atto di un viaggio scandito da numerose problematiche che hanno messo a dura prova la spedizione di Montani “composta - racconta - da cinque climber, compreso me, e da quattro trekker”. L’avvio dell’impresa è stato nel segno dell’attesa: “A causa delle condizioni meteo avverse abbiamo impiegato tre giorni in più del previsto soltanto per atterrare a Lukla, che si trova a 2.800 metri di altitudine ed è uno dei centri abitati più vicini alla vette” ha raccontato ieri Montani, spiegando che “nei giorni seguenti abbiamo avuto problemi con l’acqua disponibile in queste zone e abbiamo iniziato ad ammalarci”.
Lo stesso trentaduenne, che nella vita coordina squadre per rilievi tecnologici con la Eagles project spa, ha avuto febbre alta “fino a 38.5 e un pesante virus intestinale che mi ha fortemente debilitato, soprattutto a fronte della scalata che dovevamo affrontare”. Come lui anche gli altri quattro climber in marcia verso la vetta: “Due di loro si sono fermati a metà strada, mentre altri due a 5.100 metri”, ha ricostruito Montani che si è quindi trovato a proseguire da solo insieme allo sherpa: “A 5.900 metri di altitudine mi si è presentata davanti la parete da scalare in corda fissa segnata da grandi pendenze e - ammette - stavo per mollare, perché avevo davanti uno sforzo immane che a quell’altezza va fatto con un 60 per cento di ossigeno in meno, quindi avrei dovuto provare un grande dolore fisico per le successive due o tre ore. A quel punto - va avanti il racconto di Montani - ho chiesto allo sherpa se avessi potuto farcela e mi ha risposto che secondo lui ero in condizione fisica per riuscirci, ma molto sarebbe dipeso da quanto sarei stato disposto a credere in me stesso”. In quei complessi minuti Montani ha nuovamente deciso di proseguire, ripetendosi “arrampica e cammina senza pensare allo sforzo”. Un mantra che lo ha accompagnato fino alla gioia finale: “Quando sono arrivato in cresta a 30 metri dalla vetta, tutto quel dolore è diventato piacere, sapevo di esserci riuscito e ho cominciato a piangere, perché veramente non riuscivo a crederci”. E invece era tutto vero: dalla paura del vuoto alla vetta dell’Island Peak dell’Himalaya a 6.189 metri.
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