Venerdì 05 Settembre 2025

QUOTIDIANO DI INFORMAZIONE INDIPENDENTE

DIRETTORE
SERGIO CASAGRANDE

×
NEWSLETTER Iscriviti ora

LIVE

logo radio

MEDIO ORIENTE

L'ambasciatore di Israele Jonathan Peled al Corriere: "La pace col mondo arabo non è un'illusione"

"Abbiamo l'opportunità di passare alla diplomazia. Non c'è ragione perché il cessate il fuoco con l'Iran non possa diventare stabile"

Sergio Casagrande

26 Giugno 2025, 13:00

L'ambasciatore di Israele Jonathan Peled al Corriere: "La pace col mondo arabo non è un'illusione"

L'ambasciatore di Israele in Italia, Jonathan Peled, ieri mattina ha accettato un'intervista, in esclusiva per le nostre testate, per parlare delle attuali crisi nel Vicino e nel Medio Oriente. Abbiamo concordato una conversazione telefonica solo perché l'attuale situazione non permette, in questi giorni, per motivi di sicurezza, l’accesso in ambasciata di soggetti esterni alle attività diplomatiche. L'ambasciatore ha risposto, in lingua inglese, a tutte le domande che gli abbiamo proposto.

– Ambasciatore Peled, era davvero necessario aprire tutte queste situazioni di crisi contemporaneamente?
Israele non teme che una strategia così estesa possa risultare insostenibile sul lungo periodo, anche dal punto di vista diplomatico e dell’opinione pubblica internazionale?

Israele è stata attaccata il 7 ottobre 2023 dal sud, da Gaza. E da allora sono tutti gli altri fronti che si sono aperti o riaperti contro Israele: Hezbollah dal nord; l’Iraq da est; gli Houthi dallo Yemen. E tutti questi fronti hanno iniziato a combattere simultaneamente contro Israele.
Israele non ha scelto di aprirli, ma ha dovuto difendersi e rispondere.
E non dobbiamo dimenticare che tutto questo è stato iniziato e guidato dall’Iran.

– Quali potrebbero, a questo punto, secondo Israele, essere risoluzioni realistiche e praticabili per uscire da questa spirale di tensioni su più fronti?
C’è un orizzonte politico a cui guardate?

La nostra strategia politica è sempre stata quella di raggiungere la pace con i nostri vicini. Ma, in realtà, molti di questi vicini non hanno mai accettato l’idea di convivere pacificamente con Israele e ci hanno attaccato, come è successo con Gaza, il Libano, la Siria e altri.
Fortunatamente, siamo riusciti militarmente a sconfiggere Hezbollah e a colpire duramente Hamas.
E siamo riusciti a portare un cambiamento anche nel resto del Medio Oriente: il Libano ha finalmente un governo e un presidente sovrano; e in Siria c’è adesso una nuova promessa per un regime migliore.
Abbiamo dovuto lanciare un attacco contro l’Iran - che era davvero dietro tutti questi attori - e crediamo sia possibile arrivare a una soluzione che coniughi la pressione militare con l’attività diplomatica.
Ora abbiamo l’opportunità di passare dall’opzione militare a quella diplomatica. E speriamo di trasformare questi successi militari in progressi politici e diplomatici.

– La tregua fra Israele e Iran, entrata in vigore martedì mattina, è stata però inizialmente violata da attacchi reciproci con missili iraniani intercettati in Israele e raid israeliani su obiettivi in Iran. Stamattina invece (ieri per chi legge – ndr) c’è già chi, come Donald Trump, parla di “guerra finita”. Alla luce di questi sviluppi, come valuta l’affidabilità di questo cessate il fuoco e quali garanzie concrete può offrire Israele perché si trasformi davvero in una de-escalation duratura?

Il cessate il fuoco tra Israele e Iran è stato mediato dagli Stati Uniti, dal presidente Trump. E lo abbiamo accettato.
C’è stata, però, una violazione da parte dell’Iran poche ore dopo, alla quale abbiamo risposto colpendo una stazione radar iraniana.
Ora il cessate il fuoco è stato ripristinato.
Non c’è ragione per cui questo cessate il fuoco non possa reggere e diventare stabile e di lungo periodo. Ma adesso è responsabilità dell’Europa, degli Stati Uniti e della comunità internazionale fare in modo che l’Iran torni al tavolo dei negoziati.
Dobbiamo anche accertarci che l’Iran non prosegua con il suo programma nucleare, in particolare con quello a scopo militare.
Se ciò sarà garantito, allora credo potremo davvero parlare di un cessate il fuoco duraturo.
Gli israeliani, dopo 12 giorni passati tra ospedali e rifugi, sono tornati ad avere luoghi sicuri.
Le scuole hanno riaperto e stiamo cercando di tornare alla normalità dopo essere stati colpiti da oltre 500 missili balistici.

– Come sa, l’opinione pubblica italiana ha condannato in modo unanime l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ma è profondamente divisa sull’opportunità di proseguire con il pugno duro nei confronti della popolazione civile di Gaza. Come risponde a chi chiede che Israele interrompa le operazioni militari nei territori palestinesi?

Se Hamas rilasciasse i 50 ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre 2023 e che ancora detiene, potremmo arrivare a un cessate il fuoco e iniziare a discutere il futuro di Gaza, ma un futuro senza Hamas. Perché è Hamas che tiene in ostaggio la propria popolazione, non permettendo l’ingresso di aiuti umanitari, impedendo la fuga dei civili e utilizzando strutture civili per scopi militari.
Noi non combattiamo contro la popolazione palestinese, ma combattiamo contro Hamas, che è un’organizzazione terroristica responsabile non solo della strage del 2023, ma anche della sofferenza dei civili palestinesi.
Se vogliamo davvero aiutare Gaza, il primo passo deve essere la liberazione degli ostaggi e lo smantellamento della struttura militare di Hamas.
Solo così si potrà iniziare a costruire una prospettiva di pace e ricostruzione.
Spetta ai palestinesi scegliere la loro leadership.
Ciò che possiamo dire con chiarezza è che non sarà possibile tornare allo status quo precedente, in cui Hamas governava Gaza e al tempo stesso pianificava attacchi contro Israele.
Se ci sarà una leadership palestinese pronta a collaborare per la sicurezza, la ricostruzione e la convivenza, Israele sarà pronta a discuterne con i partner internazionali. Ma serve una leadership responsabile, non una che sostiene o giustifica il terrorismo.

– In Italia, e in particolare in regioni come l’Umbria, valori come dialogo, fraternità e riconciliazione sono centrali: basti pensare alla figura di San Francesco. Se una città come Assisi venisse proposta per ospitare un confronto tra Israele e le parti avverse, riterrebbe possibile avviare da qui un processo di dialogo, anche informale, che possa almeno far tacere le armi?

Abbiamo grande ammirazione per l’Umbria e per la città sacra di Assisi, dove sono stato in visita più volte, che ha grande importanza in termini di dialogo e pace, connettendo tra loro vari popoli.
Questo è il momento di porsi domande realistiche: Assisi e Roma possono essere luoghi utili per aprire dialoghi e dibattiti anche tra diverse parti.
Dobbiamo trovare partner per arrivare a negoziare la pace.
Se troviamo persone, anche palestinesi, disposte a sedersi al tavolo del confronto, possiamo farlo anche ad Assisi o a Roma.
Purtroppo, però, oggi non siamo ancora arrivati a questo punto.

– Israele sarebbe disponibile oggi, al di là di una trattativa formale, ad accettare un confronto multilaterale con mediatori internazionali per definire un percorso che porti a una de-escalation graduale e controllata, in attesa di condizioni più favorevoli per una pace?

Il rischio che le situazioni di crisi perdurino c’è, perché l’Iran continua a destabilizzare l’intera regione attraverso i suoi alleati: Hezbollah, gli Houthi, le milizie in Iraq e in Siria.
Tuttavia, crediamo che la risposta coordinata di Israele e dei suoi alleati – Stati Uniti, Europa e altri partner – possa prevenire una guerra regionale.
La chiave è la deterrenza: l’Iran deve capire che non può agire impunemente e che ogni aggressione avrà un prezzo.
Allo stesso tempo, Israele continuerà a rafforzare i propri legami con i Paesi moderati della regione, come abbiamo già fatto con gli Accordi di Abramo.
La pace con il mondo arabo non è un’illusione, ma un obiettivo concreto.
Servono accordi multilaterali, come già intrapresi per altre tematiche, ad esempio i cambiamenti climatici.
Siamo aperti al supporto e all’assistenza per accordi bilaterali tra le parti.

– Qual è il suo giudizio sul comportamento del governo italiano in questa crisi? Ritiene che l’Italia stia mantenendo una posizione equilibrata o che debba adottare un ruolo più attivo? E in che modo l’Italia potrebbe ancora contribuire concretamente alla stabilizzazione dell’area?

L’Italia è un Paese davvero importante nell’area mediterranea e un alleato di Israele: ha grande prestigio.
Apprezziamo ciò che abbiamo visto fino adesso, soprattutto le posizioni di Giorgia Meloni e dei ministri Antonio Tajani e Matteo Salvini perché chiedono che l’Iran non porti a termine il progetto nucleare militare e che siano rilasciati gli ostaggi come condizione per il cessate il fuoco.
La posizione del governo italiano è apprezzata, e per noi è importante nel contesto europeo.

– Negli ultimi mesi, anche in Italia si è riacceso un dibattito sulle tensioni interne alla società israeliana, tra laici e religiosi, tra diverse correnti politiche, tra sicurezza e diritti. Come descriverebbe oggi lo stato della democrazia israeliana? La tenuta delle istituzioni interne è a rischio sotto il peso del conflitto permanente?

In Israele c’è una forte e vibrante democrazia, ma negli ultimi tempi la società sta soffrendo per il lancio di missili dall’Iran sul nostro territorio. Il popolo è stanco e ferito: vorrebbe vivere in sicurezza e in pace, senza dover mandare i propri figli al fronte.
Abbiamo un governo eletto, c’è pluralismo e dibattito nei media, avremo forse elezioni l’anno prossimo. Esprimiamo il consenso attraverso le campagne elettorali e continuiamo a vivere in un Paese democratico forte e rilevante.
Non vedo quindi problemi per la nostra democrazia.

Newsletter Iscriviti ora
Riceverai gratuitamente via email le nostre ultime notizie per rimanere sempre aggiornato

*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy

Aggiorna le preferenze sui cookie