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Il pallaio che voleva restare un bosco

Claudio Sampaolo

19 Giugno 2025, 12:53

Il pallaio che voleva restare un bosco

Potremmo cominciare così: perché un pallaio all’interno di un parco pubblico appena rasato e ripulito è rimasto desolatamente sporco, pieno di cespugli, con alberi alti anche due metri cresciuti nel mezzo, la rete di recinzione rotta, il pesante rullo di ferro che doveva servire per appiattire il terreno ormai sepolto ed arrugginito, nonché i cinque lampioni led ancora follemente e felicemente accesi di notte? Ma sarebbe la solita storia di incomprensibile e disordinata manutenzione che attraversa qualsiasi amministrazione comunale. Meglio ribaltare il punto di vista. Facciamo finta di essere in una favola, quella del pallaio del piccolo parco Pallotta, meno di un ettaro di verde scosceso che fa da cuscinetto tra le 73 case popolari dell’Ater da una parte e le nuove residenze accanto a ville e casolari dall’altra, tutto cresciuto esponenzialmente negli ultimi 50 anni.

E dunque attorno a settanta piantoni di ulivi secolari, loro belli selvaggi, ogni anno carichi di olive che finiscono regolarmente a terra, furono installati giochi per bambini (tutti rotti o spariti nel nulla: ci sono ancora i bambini in zona?), costruito un anfiteatro in mattoni rossi per spettacoli estivi (ancora funziona per qualche giorno all’anno) ed un barbecue per riunioni conviviali (anche questo demolito e scomparso; escluso che qualcuno se lo sia portato a casa pezzo per pezzo per ricostruirselo con comodo). Naturalmente si pensò alle bocce, che in quegli anni d’oro avevano l’appeal del padel odierno. E poi: zona popolare uguale bocce, no? Ragionamento quasi perfetto per allora, ma pian piano ci si rese conto che a nessuno interessava più trascorrere qualche ora a cercare di avvicinare il pallino. Molto meglio ritrovarsi al circolo per giocare a carte o mettere le seggiole fuori dai portoni, in estate, per conversare come ai vecchi tempi.

E il pallaio? Inutilizzato, triste e solitario. A meno di non volerlo considerare una specie di zona franca per far correre il cane in un luogo sicuro, recintato; dopodiché, cresciute le piante e rotti gli argini dell’educazione, i cani ora scorrazzano liberamente sciolti, usando tutto il parco. Sporcano e nessuno pulisce, perché le deiezioni, purtroppo, non sono dotate di localizzatore Gps. Il povero pallaio, che, al massimo avrebbe accettato di restare in terra battuta, è stato usato per qualche estate da alcuni disgraziati senza tetto, ma anche loro se ne sono andati, probabilmente disturbati da tanta incuria, dai cani e dalla luce dei lampioni sparata in faccia. Forse è ora di smantellare tutto, rete e cemento, per dare libero sfogo alla natura e fare felice chi, alla fine, voleva solo essere e restare un bosco.

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