UMBRIA
Vincenzo Briziarelli, presidente di Confindustria Umbria
Con Vincenzo Briziarelli, presidente di Confindustria Umbria, analizziamo il caso dazi dopo gli aumenti annunciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
- Presidente Briziarelli, quali conseguenze per l’Umbria e le aziende del territorio dopo le nuove misure protezionistiche annunciate dagli Stati Uniti sotto la presidenza Trump?
Le nuove misure annunciate dagli Stati Uniti destano preoccupazione anche per l’Umbria, che negli ultimi anni ha visto crescere in modo significativo il proprio export verso il mercato americano. Nel 2024, le esportazioni umbre verso gli USA hanno superato i 730 milioni di euro. Parliamo di uno dei principali sbocchi commerciali per il nostro territorio, il secondo dopo la Germania. Qualsiasi ostacolo posto a questo flusso commerciale può avere un impatto diretto sull’economia umbra, soprattutto in un momento già complesso per l’industria manifatturiera.
- Quali settori potranno essere più in difficoltà e che peso possono avere i dazi americani per il nostro territorio?
I settori più esposti sono certamente quelli ad alta vocazione export, soprattutto la meccanica e l’agroalimentare. Macchinari e apparecchiature rappresentano oltre il 37% dell’export umbro verso gli Stati Uniti. Una tariffazione aggiuntiva su questi prodotti potrebbe rallentare le vendite e spingere le aziende a rivedere strategie e mercati di riferimento. Inoltre, l’incertezza stessa generata da questi annunci ha già un effetto frenante sugli investimenti, che in Umbria, come nel resto del Paese, risultano in forte calo nel 2025. Particolarmente sensibile è anche il comparto agroalimentare, che negli ultimi anni ha registrato un importante incremento dell’export verso gli USA, grazie al riconoscimento internazionale della qualità delle produzioni umbre — dal vino all’olio, dalle carni trasformate ai prodotti da forno. Si tratta di un settore strategico non solo per il valore economico, ma anche per l’identità del territorio e l’indotto che genera.
- Quali soluzioni potrebbero essere intraprese per far sì che il tessuto economico regionale e le aziende non paghino il prezzo di questa guerra commerciale?
La risposta deve essere duplice: da un lato serve un’azione forte e unitaria a livello europeo per contenere gli effetti delle misure protezionistiche attraverso il dialogo con Washington e la definizione di nuovi accordi commerciali con altri Paesi. È fondamentale evitare un’escalation. Inasprire i rapporti con gli Stati Uniti sarebbe un errore strategico. Alimentare ulteriori tensioni commerciali non farebbe che aggravare la situazione, danneggiando sia le economie europee sia quella americana. Occorre invece costruire un nuovo approccio nei rapporti transatlantici, basato su pragmatismo e interessi comuni. È quindi necessario mantenere aperti i canali del dialogo. A tal fine l’Europa dovrebbe individuare una figura autorevole, con comprovata capacità di dialogo e buoni rapporti con gli Stati Uniti, che possa diventare il riferimento unico dell’Unione nel rapporto con Washington.
Dall’altro lato, è fondamentale – a livello nazionale e regionale – sostenere concretamente le imprese nei processi di diversificazione dei mercati, innovazione e digitalizzazione. Bisogna agire su tre fronti prioritari: semplificazione burocratica, riduzione dei costi dell’energia e politiche industriali mirate, capaci di valorizzare le filiere strategiche del nostro territorio. Serve un cambio di passo anche a Bruxelles: il Green Deal, nella sua attuale formulazione, ha messo in difficoltà comparti industriali cruciali come l’automotive. Non possiamo affrontare una situazione così complessa se oltretutto continuiamo a porci vincoli interni che ci rendono meno competitivi.
- Meglio intraprendere la strada del protezionismo oppure quella di nuovi mercati?
Il protezionismo, come la storia insegna, rischia di essere una strada pericolosa e controproducente. L’Umbria, come l’Italia, ha costruito la propria crescita economica sull’apertura e sulla capacità di competere nel mondo. Dobbiamo continuare su questa via, difendendo i nostri interessi con fermezza ma senza chiuderci. La sfida vera è aumentare la competitività delle nostre imprese, non erigere nuove barriere. In questo senso, è paradossale che sia stata proprio l’Europa, da tempo, ad applicare ad esempio dazi più alti sulle auto americane rispetto a quelli imposti dagli Stati Uniti sui veicoli europei. Allo stesso modo, è contraddittorio che l’Unione continui a porsi vincoli interni, come le politiche troppo rigide su CO₂, ETS e transizione all’auto elettrica, che rischiano di compromettere interi comparti manifatturieri. Il settore automotive, in particolare, è strategico anche per l’Umbria, dove coinvolge filiere della meccanica e della componentistica di alta qualità. Il Green Deal è un obiettivo ambizioso e condivisibile, ma non può essere perseguito a scapito della tenuta economica e occupazionale dei nostri territori. Serve equilibrio tra sostenibilità ambientale e sostenibilità industriale, altrimenti rischiamo di assistere a una desertificazione produttiva proprio nel cuore dell’Europa. Serve un equilibrio tra sostenibilità ambientale e sostenibilità industriale: senza industria, non c’è neanche transizione. È anche per questo che dobbiamo aprirci a nuovi mercati, attrarre investimenti, rafforzare le nostre filiere produttive. E al tempo stesso, chiedere con forza che l’Europa non sia più il continente che si autoregola all’eccesso, essendo peraltro già il più virtuoso sui temi ambientali, mentre Stati Uniti e Cina tutelano le proprie economie con pragmatismo.
Quali altri mercati nello specifico possono essere un riferimento importante per le nostre aziende?
Oltre agli Stati Uniti, esistono mercati con grandi potenzialità per le nostre imprese. Penso all’India, al Sud-Est asiatico, ma anche al Nord Africa e all’America Latina, in particolare il Mercosur. L’Europa deve accelerare la conclusione di accordi commerciali con questi blocchi, e noi dobbiamo accompagnare le aziende umbre nei processi di internazionalizzazione con strumenti semplici, efficaci e accessibili. Aprirsi a nuovi mercati non è solo una reazione alla crisi: è una strategia di lungo periodo.
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