L'INTERVISTA
Antonio Ferrari
Ha acceso la console nel 1980 ed è diventato il re assoluto della vita notturna all’italiana. Antonio Ferrari, conosciuto da tutti come Dj Ralf, ha fatto ballare generazioni e generazioni di ragazzi e ragazze e continuerà a farlo “finché mi reggono le gambe”. È il primo in Italia ad aver creduto nella musica house, spaziando dal soul al funky fino al rock. Con le sue serate ha esportato le sue radici umbre ovunque, in tutta Italia e all’estero, solcato i palchi dei locali più importanti al mondo, entrando di diritto nell’Olimpo della disco music.
- Dj Ralf, come è iniziato il suo percorso musicale?
Nel 1974, quando ero ancora un ragazzino. Iniziai a lavorare in Radio Umbria Centrale, tra le prime emittenti private umbre, a Bastia. Ho avuto poi l'opportunità di lavorare a Radio Perugia 1, sopra il Turreno e Radio Ara di Foligno. La mia passione è sbocciata in quegli anni e ascoltavo musica particolare per l'epoca.
- Il primo disco che ha acquistato?
Lo ricordo con affetto, era un bootleg di Jimi Hendrix. Si chiamava On the killing floor, lo comprai alla Standa di Perugia, insieme a un altro album dove suonava brani di Johnny Hook. Quando avevo qualche soldo compravo sempre un disco.
- E invece la genesi della sua carriera nei club?
Direi casuale. Un mio caro amico, Renzo Pippi che purtroppo ci ha lasciato, lavorava allo Storyteller, un piccolo club di Perugia in fondo alle scalette di Sant’Ercolano, luogo che ha avuto un ruolo fondamentale per la mia crescita. Quando fu assunto per un altro lavoro, Renzo mi disse: “Ralf, non posso più andare, se ti va di cominciare...”. Io non sapevo neanche mixare. Sono stato molto fortunato, a Perugia c'erano molti stranieri: americani, australiani, tedeschi, cosa che mi ha permesso di avere un pubblico internazionale, di azzardare forme musicali e generi difficili da proporre in altri contesti, new wave, soul, funky e rock. Fu il mio primo lavoro da dj, guadagnavo ben 18 mila lire a serata, una cifra sufficiente per tirare avanti.
- E poi?
Iniziai a gestire il parco di Lacugnana, con una cooperativa chiamata Villa Vittoria. Lavoravo sei giorni a settimana, arrivavo il pomeriggio con i miei soci amici, montavo l'impianto e suonavo dalle 23 fino alle 5 del mattino. Una gavetta fondamentale. A un certo punto iniziai a mettere musica house, ma ancora non era il momento giusto e il locale cominciò a svuotarsi. Dissi ai miei soci che ero convinto che quella fosse la musica del futuro, ma di non voler svuotare un locale da mille o duemila persone a sera e mi fermai.
- Ha avuto ragione…
Verso il 1988, insieme a Rita Marconi e Mauro Roscini, proponemmo allo Storyteller la serata Ultra Violet, tutti i lunedì, un azzardo, ma riempimmo subito il locale. Fu il mio inizio come dj di musica house e disco. È partito tutto da lì: i miei soci andarono a Firenze al Plegine, mostrarono una cassetta al promoter che mi chiamò per farmi suonare il venerdì. Poco dopo fu la volta dell'Etos Mama Club di Gabicce e del Matis di Bologna. Cominciai a fare serate nei locali più importanti d'Italia.
- Com’è nato il nome Ralf?
Da un cartone animato di Hanna-Barbera che mi appassionava. C’era un lupo, Ralph, che cercava di rubare le pecore a un cane-pastore, Sam, che le custodiva. Il lupo veniva spesso malmenato dal cane durante il lavoro, ma all’ora di pausa si salutavano amichevolmente “Ciao Ralph, ciao Sam”. Alcuni miei amici cominciarono a chiamarmi Ralf e da allora tutti mi chiamano così, anche mia moglie.
- Sei il re della nightlife italiana, ma il rapporto di Dj Ralf con la vita diurna com’è?
Nella mia vita quotidiana conduco un’esistenza piuttosto normale. Non mi sento completamente immerso nel mondo da DJ, anche se il tempo che dedico a questa professione è significativo. Suonare nei club è solo una parte, poi c’è l’acquisto di dischi, la ricerca, lo studio e l’ascolto della musica. È un impegno costante. Tengo vivo il rapporto con gli amici, quelli di sempre che conosco dall’infanzia, altri incontrati lungo la vita, una rete di relazioni fondamentale per una vita bella e piacevole. In famiglia, una mia sorella vive a Milano e un mio fratello in Grecia, ma ci sentiamo spesso e ci vediamo quando possibile.
- Che brano sceglierebbe come colonna sonora della sua vita?
Faccio fatica a rispondere. Penso a uno dei pezzi che suono spesso verso la chiusura, I don’t know what i'd do if you ever left me dei Sweet Cream. Un mio amico dj, Fausti, me ne diede una copia, all’inizio non era molto conosciuto. In molti mi chiedono perché questo brano ha avuto tanto successo e io sono orgoglioso che un disco che suono sia diventato così popolare; è sempre con me, lo tengo in valigia da allora.
- La serata più bella a cui è stato, non con lei alla console…
Sicuramente all’Irving Plaza di New York, dove suonava Larry Levan. Mi trovavo nella Grande Mela e lo andai a vedere. È stato uno dei dj che più mi ha influenzato nella vita. Considerando la mia età, penso di essere uno dei pochi dj ad aver avuto l’opportunità di ascoltarlo dal vivo.
- E il momento più emozionante della sua carriera?
La mia prima volta a Umbria Jazz, nel 2012, suonai sul palco di piazza IV Novembre. Immaginavo tanta gente, ma mai avrei pensato alla folla di quella sera. Ricordo di aver parcheggiato lo scooter lungo via Ritorta. Quando arrivai alla Fontana Maggiore ebbi un colpo al cuore. Una emozione fortissima. Ma appena salgo in console, qualsiasi tensione svanisce e riesco a rilassarmi.
- Arriviamo alla sua serata umbra, il Bellaciao. Com’è nata?
Ero a casa, mio cognato indossava una maglietta con la scritta Bella Ciao trasformata nel logo della Coca-Cola. Elena Verini, che lavora con me, mi suggerì di organizzare una serata chiamata Bella Ciao e pensai subito che fosse un’idea illuminante. La proponemmo ai proprietari dell'Urban, che accettarono con entusiasmo. Iniziammo a fare serate la domenica, ma molti non riuscivano a esserci, così decidemmo di spostare le serate al sabato, per accontentare tutti.
- Lei è venerato da tante celebrità, una su tutte Valentino Rossi. Com’è il vostro rapporto?
Che Vale sia una celebrità non ci sono dubbi, ma per me è semplicemente un amico e lo stesso vale per molte altre persone importanti che conosco, come Samuel dei Subsonica, Lorenzo Jovanotti e Cesare Cremonini. Valentino veniva spesso al Titilla, a quell’epoca era ancora un ragazzo e gareggiava in Moto 2. Lo salutavo dal palco, ma non ci conoscevamo di persona. Un giorno ricevetti una telefonata, ‘Ciao sono Valentino Rossi…’, li per lì pensai fosse uno scherzo ma quando capii che era davvero lui, dopo la sorpresa cominciammo a parlare di musica e moto e mi invitò a casa sua, dove passammo una nottata tra scherzi e risate e da quel momento siamo diventati buoni amici. È una delle persone più divertenti e piacevoli che conosco.
- Cosa pensa dell’Umbria?
È il luogo migliore dove vivere. Per il mio lavoro sarebbe meglio vivere in una città più forte per servizi e trasporti, ma non ho mai pensato di lasciare la mia città, e la mia regione, considero l’Umbria uno dei posti più belli del mondo. Questa sorta di isolamento la rende unica, chi viene qui è perché desidera farlo e se ne innamora. Una regione ricca di storia e bellezza, con città affascinanti e fortunata dal punto di vista turistico. La gente del posto può sembrare chiusa inizialmente, ma è molto generosa e divertente una volta che ci si entra in confidenza.
- E’ uno dei dj più longevi d’Italia. All’orizzonte, vede una conclusione della sua carriera?
Non voglio pensarci troppo, finché mi reggono le gambe continuerò a fare quello che amo. A volte dico al mio manager e a mia moglie che forse è il momento di ridurre un po’ gli impegni. Suonare e stare in console non mi pesa, ma viaggiare inizia a diventare faticoso. Poi però quando ho meno serate da fare, mi annoio. Ho bisogno di tutto questo e la fine della mia carriera arriverà solo quando non riuscirò più a stare in piedi. Finché avrò energia e mente lucida, continuerò a far ballare la gente.
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