Attualità
Che l’Umbria viaggi sui treni più vecchi d’Italia non è una scoperta clamorosa. È la conferma di una situazione evidente che sta peggiorando. I dati di Pendolaria, che ieri avete potuto leggere solo sul Corriere dell’Umbria, raccontati con puntualità nel servizio del collega Alessandro Antonini, certificano una realtà che i pendolari conoscono da tempo: convogli con un’età media superiore ai 20 anni, ora record nazionale; e oltre il 90 per cento dei treni oltre la soglia dei 15 anni di servizio. Non deve stupire.
Trenitalia, ormai, investe dove il ritorno d’immagine e di mercato è più evidente: sull’alta velocità. I regionali, quelli che tengono in piedi la mobilità quotidiana di studenti e lavoratori, restano il parente povero del sistema. E l’Umbria, priva di una linea ferroviaria ad alta velocità, salvo qualche carezza lungo il confine con la Toscana, paga il conto più salato.
C’è anche una responsabilità nostra. Se in passato non avessimo litigato per campanilismi, gelosie e piccoli confini mentali, forse oggi una linea veloce attraverserebbe tutta la regione. Non è fantascienza: l’alta velocità, in forma sperimentale, attraversò davvero l’Umbria – dal 2 luglio 1976 all’11 luglio 1983, col Pendolino, primo affidabile treno ad assetto variabile e capace di viaggiare a 250 km/h – sulla direttrice Roma–Terni–Foligno–Ancona, una delle linee ferroviarie italiane più antiche, tracciata nel 1846, ai tempi di Gregorio XVI e utilizzata da Pio IX per tornare rapidamente nella sua Senigallia.
L’Umbria non sfruttò l’occasione di chiedere l’ammodernamento della Roma–Ancona. Parlamentari e amministrazioni del territorio si divisero. E prevalsero coloro che avrebbero voluto spostare il baricentro ferroviario a loro favore. E coloro che teorizzavano minacce irreparabili per l’ambiente. Così oggi, su quella linea, si viaggia ancora, in alcuni tratti, su binari disegnati a matita sulle carte del XIX secolo.
Finché le politiche – e certe mentalità – non cambieranno, l’Umbria continuerà a muoversi così: lentamente, su rotaie stanche e vagoni sempre più agé, mentre il Paese corre altrove. E chi fa notare che la mobilità lenta ha comunque i suoi vantaggi e può perfino essere invidiata, provi a spiegarlo ai nostri pendolari.
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